Un padiglione dimenticato, travolto dal degrado e dal tempo. Un reparto chiuso da decenni, abbandonato ai senzatetto. E poi, all’improvviso, una scoperta agghiacciante: ossa umane ritrovate nel Padiglione Monaldi dell’ospedale San Camillo di Roma, durante alcuni interventi di ristrutturazione. I resti erano nascosti in un’area in disuso, vicino a un vecchio vano ascensore. Un dettaglio non irrilevante: siamo a pochi passi dal luogo in cui, secondo alcune testimonianze, sarebbe stata tenuta prigioniera Emanuela Orlandi.
La notizia è destinata a riaccendere l’attenzione su uno dei misteri più dolorosi della cronaca italiana. Emanuela, cittadina vaticana di 15 anni, scomparve nel nulla nel giugno del 1983. Da allora, silenzi, omissioni, depistaggi. E ora, forse, una traccia concreta.
Il legame con la testimonianza di Sabrina Minardi
A rendere il ritrovamento così inquietante è la vicinanza geografica con il racconto di Sabrina Minardi, ex compagna del boss della Banda della Magliana Enrico De Pedis, ritenuto uno dei protagonisti occulti del caso. Minardi aveva raccontato, nel 2008, che Emanuela fu tenuta segregata per settimane in una cantina al Gianicolense, in via Pignatelli, proprio di fronte al San Camillo.
In quella palazzina, secondo quanto emerso anche dalle indagini della squadra mobile, furono effettivamente trovati segni compatibili con una prigionia: catene fissate ai muri, una latrina improvvisata, pareti scrostate. Una base logistica della Banda della Magliana, nel cuore di Roma. Ma della ragazza, nessuna traccia.
Ossa datate ma ancora da identificare
I resti umani rinvenuti al San Camillo sono ora all’esame degli anatomopatologi forensi, incaricati dai carabinieri di stabilire sesso, età presunta e datazione. Saranno inoltre effettuati esami genetici per verificare la compatibilità con il DNA di Emanuela Orlandi, già in possesso della Procura. «Attendiamo la comparazione genetica», ha dichiarato Laura Sgrò, avvocato della famiglia Orlandi, in un’intervista a Il Giornale. «Si tratta certo di un’ipotesi suggestiva, soprattutto alla luce della testimonianza della Minardi, che per quanto controversa è stata in parte riscontrata dagli investigatori», ha aggiunto la legale.
Il sospetto: un corpo gettato nel vano ascensore
Il Padiglione Monaldi era all’epoca ancora in funzione. Solo alla fine degli anni Ottanta fu chiuso, parzialmente ristrutturato nel 1999 e poi abbandonato. Nonostante fosse operativo nel 1983, non si può escludere che qualcuno abbia comunque potuto accedere a zone isolate o nascoste dell’edificio per disfarsi di un corpo. Il vano ascensore, in particolare, risulta compatibile con uno scenario del genere. Una possibilità sconcertante, che riporterebbe al centro dell’inchiesta proprio quella parte del Gianicolense troppo spesso ignorata, malgrado le numerose testimonianze.
La versione della Minardi: verità o delirio?
Nel suo racconto, Sabrina Minardi descrisse una lunga prigionia, diversi spostamenti in auto, un passaggio da una Mini rossa con a bordo monsignor Paul Marcinkus, allora potente numero uno dello IOR. Poi il trasferimento della ragazza in una cantina, dove sarebbe rimasta fino all’ordine di “eliminazione”. Secondo Minardi, il corpo di Emanuela sarebbe stato gettato in una betoniera a Torvaianica, insieme a quello del piccolo Giuseppe Di Matteo, figlio di un pentito di mafia.
Ma le date non coincidono. Giuseppe fu ucciso nel 1996, dieci anni dopo la scomparsa di Emanuela. Un errore temporale che ha minato la credibilità complessiva della testimone. Tuttavia, molti dettagli del suo racconto si sono rivelati riscontrabili, come la cantina, la zona, e alcune connessioni tra ambienti criminali e la scomparsa.
Cosa accadrà ora
Tutto dipende dagli esami genetici. Se i resti ritrovati al San Camillo dovessero appartenere davvero a Emanuela Orlandi, si aprirebbe uno scenario inedito. La prova materiale metterebbe fine a oltre quattro decenni di congetture. Ma al tempo stesso, riscriverebbe la storia di uno dei casi più intricati e opachi della Repubblica.
Chi sapeva? Chi ha taciuto? E perché? Domande che la famiglia Orlandi pone da anni, senza mai arrendersi. «Finché non avremo una risposta chiara, continueremo a cercare la verità», ha ribadito più volte Pietro Orlandi, fratello della giovane scomparsa. Questa volta, però, la verità potrebbe essere sepolta non in Vaticano, ma in un padiglione fatiscente di un ospedale romano.





