Il futuro del lavoro in Italia non è più una proiezione teorica: è già cominciato. L’intelligenza artificiale (AI), l’automazione e le nuove tecnologie digitali stanno riscrivendo le regole del mercato occupazionale, portando con sé rischi ma anche grandi opportunità.
Secondo un recente rapporto del World Economic Forum, entro il 2027 il 23% dei lavori a livello globale subirà trasformazioni significative, con milioni di posizioni destinate a scomparire o a evolversi. In Italia, il fenomeno è amplificato da una doppia sfida: la transizione digitale e quella demografica.
Se da un lato molti temono che l’AI possa sostituire le persone, dall’altro si aprono spazi per nuove professionalità, più creative, strategiche e legate alla gestione della tecnologia stessa. Il futuro, insomma, non è fatto solo di robot e algoritmi: è fatto anche (e soprattutto) di persone capaci di adattarsi.
L’impatto dell’intelligenza artificiale sul lavoro
L’intelligenza artificiale non è più confinata ai laboratori di ricerca o alle startup tecnologiche. Oggi entra negli uffici, nelle fabbriche, negli ospedali e perfino nei tribunali.
Un recente studio del Politecnico di Milano ha stimato che già nel 2025 il 40% delle aziende italiane utilizzerà strumenti di intelligenza artificiale per automatizzare almeno una parte dei processi interni. Tra i settori più coinvolti figurano la manifattura, la logistica, la sanità e i servizi finanziari.
Ma l’AI non significa solo sostituzione del lavoro umano. Spesso si traduce in supporto, efficienza e riduzione degli errori. Nei reparti di diagnostica medica, ad esempio, gli algoritmi aiutano a individuare lesioni o tumori invisibili all’occhio umano. Nei trasporti, sistemi predittivi ottimizzano i flussi di traffico o la manutenzione dei mezzi.
I lavori più a rischio
Secondo i dati dell’OCSE, i lavori con alta ripetitività — come operatori di call center, cassieri, addetti alla produzione o impiegati amministrativi — sono i più esposti all’automazione. L’Italia, dove il tessuto produttivo è ancora fortemente basato su piccole e medie imprese, risente in modo particolare di questo trend.
Uno studio dell’ISTAT stima che il 33% dei lavoratori italiani svolge mansioni potenzialmente automatizzabili. Ma il vero rischio non è la scomparsa del lavoro, bensì la mancanza di riqualificazione.

I mestieri del futuro: dove crescerà la domanda
Se alcune professioni si estingueranno, altre nasceranno. E saranno proprio le nuove tecnologie a crearle.
Le previsioni di Unioncamere e Anpal indicano che entro il 2028 l’Italia avrà bisogno di oltre 2,5 milioni di nuovi lavoratori qualificati in ambiti come la transizione digitale, l’energia verde e la sanità.
Professioni digitali e tecnologiche
Tra i mestieri più richiesti figurano i data analyst, gli sviluppatori di intelligenza artificiale, gli esperti di cybersecurity e gli ingegneri del software. Ma crescono anche ruoli legati alla comunicazione digitale, al marketing online e alla gestione etica dei dati.
Non si tratta solo di saper programmare: le aziende cercano figure capaci di interpretare i risultati delle macchine, di prendere decisioni strategiche e di mantenere un controllo umano sull’automazione.
Green jobs e transizione ecologica
Un’altra area in forte espansione è quella dei green jobs. La necessità di ridurre le emissioni e migliorare l’efficienza energetica sta creando nuove figure come i tecnici della sostenibilità ambientale, gli esperti di energie rinnovabili e i progettisti di edifici a basso impatto.
In Italia, il PNRR destina oltre 70 miliardi di euro alla transizione ecologica, spingendo la domanda di competenze tecniche e gestionali in questo campo.
Mestieri sociali e creativi
Mentre l’automazione cresce, aumenta anche il valore delle professioni dove l’empatia, la creatività e la capacità di relazione restano insostituibili. Insegnanti, psicologi, educatori, artisti digitali e designer continuano a essere fondamentali per una società in evoluzione.
Il futuro del lavoro in Italia, quindi, sarà anche un futuro più umano, dove la tecnologia sarà uno strumento, non un fine.
Formazione e riqualificazione: la chiave del cambiamento
Il punto cruciale non è tanto la tecnologia in sé, ma la capacità delle persone di adattarsi. E qui la formazione gioca un ruolo decisivo.
In Italia, solo il 20% dei lavoratori partecipa regolarmente a corsi di aggiornamento o formazione continua, contro una media europea del 33%. È un divario che rischia di ampliare le disuguaglianze occupazionali.
Il ruolo delle imprese e delle istituzioni
Molte aziende stanno avviando programmi di upskilling (potenziamento delle competenze esistenti) e reskilling (riqualificazione verso nuovi ruoli). Esempi concreti arrivano da grandi gruppi come Enel, Leonardo e Intesa Sanpaolo, che investono in piattaforme digitali di formazione interna per i propri dipendenti.
Anche lo Stato ha avviato iniziative in questa direzione. Il programma “Repubblica Digitale” del Ministero per l’Innovazione mira a formare milioni di cittadini sulle competenze digitali di base.
Ma serve un cambio culturale: considerare la formazione non più come un costo, bensì come un investimento nel futuro.
Il nodo del lavoro giovanile
Uno degli aspetti più delicati del futuro del lavoro in Italia riguarda i giovani. Il nostro Paese resta tra i peggiori in Europa per tasso di disoccupazione giovanile, fermo al 22% secondo Eurostat.
Molti ragazzi si trovano intrappolati in un paradosso: le aziende cercano competenze digitali e specialistiche, ma il sistema educativo spesso non prepara a sufficienza per affrontare queste sfide.
I percorsi tecnico-professionali, gli ITS (Istituti Tecnologici Superiori) e i corsi di formazione mirata stanno però guadagnando terreno, offrendo un’alternativa concreta all’università tradizionale. È in queste aule che si formeranno i tecnici del futuro, gli sviluppatori, i gestori di dati e gli esperti di robotica che il mercato richiede.
Etica e diritti nel lavoro digitale
Accanto alle opportunità, emergono anche nuovi interrogativi etici. Chi è responsabile se un algoritmo discrimina o commette un errore? Come garantire che i lavoratori delle piattaforme digitali — dai rider agli operatori freelance — abbiano tutele adeguate?
L’Unione Europea ha avviato un percorso normativo per regolamentare l’uso dell’intelligenza artificiale (AI Act), mentre in Italia cresce il dibattito su una possibile “Carta dei diritti digitali”.
Il lavoro del futuro, per essere davvero sostenibile, dovrà essere non solo efficiente ma anche giusto, rispettoso della dignità umana e dei diritti fondamentali.

Un futuro da costruire insieme
Il futuro del lavoro in Italia non sarà scritto solo da algoritmi o piani industriali. Sarà il frutto di scelte collettive: di governi, imprese, scuole e lavoratori.
Ogni cambiamento porta con sé incertezza, ma anche possibilità. E forse la domanda da porsi oggi non è “quali lavori spariranno?”, bensì “quali nuovi ruoli possiamo creare per migliorare la vita delle persone?”.
Il futuro del lavoro non è qualcosa che subiremo: è qualcosa che possiamo costruire, insieme.
Foto di Tara Winstead e Foto di Alex Knight e Foto di Italo Melo





