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Autonomia differenziata bocciata dalla Consulta: i punti illegittimi

Stop della Consulta alla legge sull’Autonomia differenziata. E arriva come una doccia fredda per l’esecutivo. “La decisione della Corte costituzionale ha chiarito in maniera inequivocabile che la legge sull’autonomia differenziata nel suo insieme è conforme alla Costituzione. Su singoli profili della legge attenderemo le motivazioni della sentenza, per valutare gli eventuali correttivi da apportare”, ha detto il Ministro per gli Affari regionali e le Autonomie, Roberto Calderoli. “In attesa del deposito della sentenza”, la Corte costituzionale ha diffuso nelle scorse ore un comunicato in cui ha riassunto le sue decisioni sulla legge per l’Autonomia differenziata delle Regioni. Non viene dichiarata incostituzionale l’intera legge, ma buona parte. Passaggi che erano centrali per la visione dell’autonomia del governo Meloni. E al momento non è chiaro se il referendum abrogativo sull’Autonomia resterà in piedi.

Autonomia differenziata bocciata dalla Consulta: i punti illegittimi

La Corte costituzionale ha fatto capire che il cammino dell’autonomia differenziata sarà ancora lungo, difatti la legge Calderoli che aveva delineato il percorso con cui attuare l’art. 116, 3° comma, Cost. è stata dichiarata illegittima in più punti. Il comunicato della Corte depositato ieri sera, ci ricorda l’autonomia differenziata va interpretata «nel contesto della forma di Stato italiana», cioè rispettando «i principi dell’unità della Repubblica, della solidarietà tra le regioni, dell’eguaglianza e della garanzia dei diritti dei cittadini, dell’equilibrio di bilancio».

Autonomia differenziata bocciata dalla Consulta: cosa non va

La Consulta elenca sette punti incostituzionali. Primo, «la possibilità che l’intesa tra lo Stato e la Regione e la successiva legge di differenziazione trasferiscano materie o ambiti di materie, laddove la Corte ritiene che la devoluzione debba riguardare specifiche funzioni legislative e amministrative e debba essere giustificata alla luce del principio di sussidiarietà». Il secondo punto incostituzionale riguarda «il conferimento di una delega legislativa per la determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali (Lep) priva di idonei criteri direttivi, con la conseguenza che la decisione sostanziale viene rimessa nelle mani del governo, limitando il ruolo costituzionale del Parlamento». Il terzo rilievo è simile al secondo, ovvero «la previsione che sia un decreto del presidente del Consiglio dei ministri (Dpcm) a determinare l’aggiornamento dei Lep».

Il quarto è un altro gemello ancora: «il ricorso alla legge di bilancio per il 2023 per la determinazione dei Lep con Dpcm, sino all’entrata in vigore dei decreti legislativi». Il quinto rilievo costituzionale riguarda i conti pubblici. È incostituzionale «la possibilità di modificare, con decreto interministeriale, le aliquote della compartecipazione al gettito dei tributi erariali, prevista per finanziare le funzioni trasferite, in caso di scostamento tra il fabbisogno di spesa e l’andamento dello stesso gettito».

E ora cosa succede? Che ne sarà del referendum?

«In base a tale previsione potrebbero essere premiate proprio le regioni inefficienti, che, dopo aver ottenuto dallo Stato le risorse finalizzate all’esercizio delle funzioni trasferite, non sono in grado di assicurare con quelle risorse il compiuto adempimento delle stesse funzioni», chiarisce la Corte. Sesto punto? È illegittima «la facoltatività, piuttosto che la doverosità, per le regioni destinatarie della devoluzione, del concorso agli obiettivi di finanza pubblica, con conseguente indebolimento dei vincoli di solidarietà e unità della Repubblica». Ultimo punto, la Consulta ritiene improprio che la legge Calderoli venga applicata alle richieste di autonomia che potrebbero provenire dalle regioni a statuto speciale, che invece possono attivare la procedura seguendo il proprio statuto.

Autonomia differenziata bocciata: perché per il governo Meloni potrebbe essere una buona notizia

Venendo al referendum abrogativo, ora il testo è in mano alla Cassazione, che deve valutare, anche alla luce della sentenza della Consulta, la legittimità dei quesiti. Il suo verdetto dovrebbe arrivare entro il 15 dicembre. Il punto è che la Corte costituzionale sembrerebbe aver dichiarato incostituzionali proprio alcuni dei punti su cui i quesiti referendari chiedevano di intervenire.

Ma come scrive Luca Pons su «Fanpage» è possibile che la sentenza della Corte costituzionale si trasformi in una buona notizia per il governo Meloni, proprio perché eviterebbe il rischio di vedere bocciata dal voto popolare una delle sue riforme ‘di bandiera’.

“Se si chiede di svolgere un referendum su una legge, ma poi quella legge cambia in modo radicale – come probabilmente dovrà fare quella sull’Autonomia – è possibile dichiarare non più legittimo quel referendum. Sulla base di questo, quindi, la Corte di Cassazione potrebbe stabilire che ormai la legge sull’Autonomia differenziata ‘non è più la stessa’ in vari aspetti fondamentali (dichiarati incostituzionali), e quindi la votazione non si deve svolgere”, si legge. Ed è un’osservazione sacrosanta. Tuttavia è ancora troppo presto per capire quel che accadrà.