Il 29 luglio 1976, una donna cambiò la storia della politica italiana. Non con un gesto plateale, non con un discorso incendiario. Fu una nomina a fare la differenza, ma non una qualunque. Quel giorno, Giulio Andreotti firmava la nascita del suo terzo governo e Tina Anselmi entrava nella squadra come ministra del Lavoro e della Previdenza sociale.
La prima donna a ricoprire un incarico ministeriale nella storia della Repubblica. Una data simbolica, che parla di emancipazione, di tenacia, di rottura di un soffitto di cristallo in un’Italia che fino ad allora aveva tenuto le donne ai margini delle stanze del potere.
Dalla Resistenza a Montecitorio: il coraggio ha diciassette anni
La sua storia politica ha radici profonde, piantate durante gli anni più bui del Novecento. A soli diciassette anni, è già staffetta partigiana nella Brigata Cesare Battisti. Combatte il nazifascismo con la determinazione di chi non accetta l’ingiustizia come destino. Da lì in poi, la politica non sarà mai un mestiere, ma un dovere civile.
Nata a Castelfranco Veneto nel 1927, cresciuta nell’Italia della ricostruzione, si impegna da giovanissima nel sindacato, poi nella Democrazia Cristiana. Nel 1950 è incaricata nazionale dei giovani Dc. Otto anni dopo siede nel Consiglio nazionale del partito, e nel 1968 entra alla Camera dei Deputati, dove resterà per quasi vent’anni. Un curriculum costruito sul campo, tra le persone, nelle fabbriche, nelle aule, nei comitati. Non nei salotti.
Un impegno concreto: pari opportunità, sanità, famiglia
Tina Anselmi non entra nella storia solo per essere stata “la prima donna ministro”. Entra per quello che ha fatto. Come ministra del Lavoro, firma la prima legge sulle pari opportunità (1977), abolendo le discriminazioni salariali e professionali tra uomini e donne. Da ministra della Sanità, promuove la riforma del Servizio sanitario nazionale e difende la laicità della politica in un’epoca ancora profondamente condizionata dalle pressioni clericali. Famiglia, maternità, dignità del lavoro femminile: tutto passa dalla sua agenda, e non come slogan, ma come proposta legislativa.
La battaglia contro le ombre della Repubblica: la P2
Poi arriva la sfida più dura. Nel 1981, dopo il ritrovamento degli elenchi della Loggia massonica P2, è chiamata a presiedere la Commissione parlamentare d’inchiesta. È una donna sola, in un incarico scomodo, con contro mezza Repubblica. Eppure accetta. Per due anni guida i lavori con rigore e ostinazione, ascoltando testimoni, ricostruendo trame, scoprendo connessioni inquietanti tra massoneria deviata, potere finanziario, politica e servizi segreti. Nel libro La P2 nei diari segreti di Tina Anselmi (Chiarelettere, 2016) emergono appunti precisi, riflessioni lucide, incontri segreti, intuizioni. Una storia parallela della Repubblica, che oggi suona ancora incredibilmente attuale.

Perseveranza, sobrietà, fiducia nelle istituzioni
Tina Anselmi non alza mai la voce, ma fa rumore con i fatti. Conduce ogni incarico con una sobrietà esemplare, senza mai personalismi, né scorciatoie. Nei suoi discorsi torna spesso un invito alla responsabilità quotidiana: “Dopo aver vinto possiamo anche perdere, se viene meno la nostra vigilanza. Non possiamo abdicare”, scrive nella sua autobiografia Storia di una passione politica. Nonostante le delusioni, non cede mai al vittimismo. Non si lamenta. Anzi, confida: “Fortunatamente la gioia di vivere mi è sempre stata alleata. Ieri come oggi. Chissà, oggi anche di più. Oggi che sono vecchia”.
Un’eredità da non archiviare
Il cammino cominciato da Tina Anselmi non è concluso, ma non va dimenticato. Non perché fu la prima. Ma perché fu una delle poche a restare coerente, lucida, costruttiva, appassionata fino in fondo. Una donna di Stato, con la schiena dritta, capace di lasciare un segno profondo senza mai cercare applausi.





