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Nelson Mandela, 107 anni fa nasceva il simbolo della libertà

Il cielo sopra Pretoria era azzurro e immobile il giorno in cui, nel 1994, un uomo in giacca scura e sorriso disarmante giurava come primo presidente nero del Sudafrica. A pochi metri da lui, nella platea degli ospiti d’onore, sedevano anche i suoi ex carcerieri. Li aveva voluti lì. Non per umiliarli, ma per mostrare al mondo che la libertà non è vendetta, e che la giustizia può essere anche perdono. Quella scena, una stretta di mano, uno sguardo pacato, un discorso fermo e visionario, racchiude tutta la traiettoria umana e politica di Nelson Rolihlahla Mandela, nato 107 anni fa, il 18 luglio 1918 nel villaggio di Mvezo, in una capanna senza elettricità. Sarebbe diventato avvocato, rivoluzionario, prigioniero politico e infine presidente della “Nazione arcobaleno”, simbolo universale della lotta all’apartheid e della dignità umana.

L’apartheid e la scelta della lotta

Quando Mandela comincia a militare nell’African National Congress (ANC), il Sudafrica è una democrazia solo per i bianchi. L’apartheid, legalizzato nel 1948, è un regime feroce di segregazione razziale. Ai neri è vietato vivere nei quartieri dei bianchi, studiare nelle stesse scuole, sposarsi fuori dal proprio “gruppo etnico”, persino entrare da certe porte nei negozi. Sono cittadini senza cittadinanza. Mandela capisce che la protesta pacifica non basta. Dopo la strage di Sharpeville del 1960, in cui la polizia spara su manifestanti disarmati, fonda l’ala armata dell’ANC, Umkhonto we Sizwe. “Non sono nato con l’istinto della violenza ma di fronte a un governo che non lasciava altra via, ho scelto di oppormi anche con la forza”, dirà poi.

I 27 anni in carcere di Nelson Mandela

Arrestato nel 1962, sarà condannato all’ergastolo e rinchiuso in una minuscola cella a Robben Island, dove passerà 18 dei suoi 27 anni di prigionia. Lavora a spaccare pietre sotto il sole, dorme su un materasso sottile, non può ricevere visite o lettere per lunghi periodi. Ma da quel buio emerge un pensiero lucido, instancabile, che diventa guida per milioni di persone. Studia, scrive, si forma come leader e simbolo. La sua immagine cresce mentre lui è lontano. “Free Nelson Mandela” diventa uno slogan globale. La pressione internazionale contro il regime sudafricano aumenta, fino alla svolta.

La liberazione e il Nobel

L’11 febbraio 1990, dopo lunghi negoziati con il presidente Frederik de Klerk, Mandela viene liberato. Il mondo trattiene il respiro. Ha 71 anni, ma cammina a testa alta. Il suo primo discorso è un appello alla pace, alla riconciliazione. Non parla di vendette. Parla di futuro. Nel 1993 riceve il Premio Nobel per la Pace insieme a de Klerk. L’anno dopo, il 27 aprile 1994, alle prime elezioni libere e multietniche del Sudafrica, è eletto presidente. Ha vinto. Ma la sfida più difficile inizia ora: tenere unito un Paese lacerato da secoli di odio.

Il presidente della riconciliazione

Mandela sorprende ancora. Crea la Commissione per la Verità e la Riconciliazione, affidata a Desmond Tutu, per ascoltare le testimonianze di vittime e carnefici, promuovere il perdono, raccontare la verità. Invita i bianchi a restare e a partecipare. Incarna un’idea di potere sobria e temporanea: resta presidente solo un mandato, poi si fa da parte. Celebre la sua scelta di sostenere la nazionale di rugby, sport dei bianchi per eccellenza, ai Mondiali del 1995: un gesto forte per unire. “Non è mai troppo tardi per fare la cosa giusta”, dirà più volte.

L’eredità di Nelson Mandela

Muore il 5 dicembre 2013, a 95 anni, ma il suo nome resta scolpito nella storia come quello di Gandhi, Martin Luther King, Abramo Lincoln. Il 18 luglio è stato proclamato dalle Nazioni Unite “Mandela Day”, una giornata mondiale per promuovere la tolleranza, il servizio e la giustizia. “Non sono un santo a meno che non si intenda per santo un peccatore che continua a provarci”, si legge nella sua autobiografia. E forse è proprio questa la sua grandezza: aver trasformato le ferite in forza, la rabbia in progetto, la prigionia in visione. Un secolo dopo, il suo esempio resta intatto. Perché la libertà, ci ha insegnato, è una responsabilità. E la pace, una scelta quotidiana.