Su «Il Corriere della Sera» la toccante intervista ad Antonio Scarongella sottufficiale dell’Esercito Italiano, in forze alla Brigata Ariete di Pordenone e volontario soccorritore, che ritrovò il corpo di Giulia Cecchettin: «È passato un anno, la mia vita non è più la stessa. E sono un po’ arrabbiato. In troppo pochi hanno capito». Il volontario del Nucleo cinofilo da Soccorso Bios, sezione Ana (Associazione nazionale alpini) di Pordenone, ricorda ogni cosa di quel drammatico giorno, che ha segnato la sua esistenza.

Il militare che trovò il corpo di Giulia Cecchettin: “Provo tanta rabbia”
«Tra tutti gli interventi fatti è stato quello che mi ha toccato di più. In altre occasioni siamo stati vicini al ritrovamento senza mai arrivarci, invece in questo caso la sorte ha voluto toccasse a me. Il cane Jagger mi ha portato sul corpo, non riuscivo a vedere nulla, non sapevo se si trattasse di lei, non potevo toccare per non compromettere le prove. Lo ricordo come fosse successo ieri, è impossibile cancellare anche un attimo di quella giornata, la temperatura me la sento ancora sulla pelle», ha raccontato Antonio Scarongella. Sul caso di Giulia Cecchettin, la studentessa uccisa dall’ex fidanzato Filippo Turetta, c’era tanta pressione mediatica: «Anche quel giorno siamo usciti, come tutte le volte, con la speranza di trovare un segno: una scarpa, un cappello, una borsa, qualsiasi cosa possa aiutare le autorità a continuare le ricerche. Ovviamente dopo una settimana già l’impatto mediatico era molto forte, ma quando si esce si cerca di mettere la massima attenzione per riportare a casa qualcosa, come spiego alle nuove leve. Chiedo loro di immedesimarsi nelle famiglie del disperso, che hanno bisogno di riportare un corpo, che sia in vita o non in vita, a casa, un corpo su cui piangere. Per questo bisogna setacciare ogni centimetro». Il sottufficiale dell’esercito italiano ha detto di essere in contatto con la famiglia della giovane, in particolare con il signor Gino Cecchettin.

A distanza di un anno parla Antonio Scarongella
Antonio Scarongella e i suoi compagni volontari si sono offerti di prendersi cura del luogo del ritrovamento: «Da Saonara a Barcis ci sono due ore e mezzo di strada, è comprensibile che un familiare possa non tornarci spesso. Quello però è diventato un luogo dove chiunque va a lasciare una lettera, un fiore, una candela. Ci eravamo ripromessi di lasciare quel luogo ben tenuto e pulito. Allora se c’è qualche pianta secca, un lumino scarico o una candela finita, noi sistemiamo. Avevamo chiesto a Gino se io e gli altri cinofili potevamo permetterci di andare di tanto in tanto in zona a ripulire da quello che è giusto togliere». A distanza di un anno cosa gli resta? «Io sono un tantino arrabbiato con il mondo che mi circonda. Pare che la perdita di Giulia in quelle condizioni, in quella maniera, non abba fatto riflettere nessuno se non pochi. Continuiamo a sentire notizie simili, forse anche più di prima. Siamo stati in pochi ad aver capito quanto è delicata questa vicenda dell’uomo che non rispetta la donna. Un uomo parte avvantaggiato rispetto ad una donna per forza fisica, e allora perché non ti fermi e ragioni? Sembra che Giulia non abbia trasmesso ancora quei valori. Spero che prima o poi accada». Poi la triste chiosa finale: «L’unica cosa che ti dà forza è quanto dicevano tutti i familiari, anche i nonni e gli zii di Giulia: trovare un corpo senza vita è stata una sconfitta, ma è stato importante. L’abbiamo riportata a casa».





