«Per un istante ho pensato di morire», comincia così il racconto choc di Adelaide Andreini, 28enne specializzanda in Chirurgia, che la sera del 7 gennaio scorso è stata aggredita dall’accompagnatore di un paziente, mentre era in servizio alla guardia medica del Gervasutta di Udine. «Mi ha messo una mano al collo e ha stretto», ha spiegato «Repubblica». Decisivo l’intervento della collega Giada Aveni, anche lei specializzanda in Chirurgia, che sui social ha denunciato lo spiacevole evento, che avrebbe potuto avere risvolti ben più gravi. Possibile che un Paese come il nostro non riesca a dare maggiori tutele per i suoi medici? Per la giovane dottoressa si tratta del terzo attacco in due anni di attività: «Se prima meditavo sulla scelta di iniziare una nuova facoltà e cambiare professione, dopo questo fatto so che sicuramente sarà la scelta giusta e la intraprenderò il prima possibile», ha spiegato Andreini.
Comprensibile il suo stato d’animo, il racconto sui social della collega Giada Aveni è a dir poco sconvolgente: «Ci siamo ritrovate questi due uomini in ambulatorio ancora non sappiamo come abbiano fatto a evitare il triage al videocitofono. Uno era il paziente, con una gamba fasciata, l’altro diceva di essere il suo traduttore». Le dottoresse, dopo aver medicato accuratamente le ferite, hanno spiegato al traduttore che l’uomo avrebbe dovuto recarsi al pronto soccorso per avere una diagnosi.
«Il paziente era tranquillo, gli avevamo spiegato anche in inglese le cose, ma l’altro uomo ha iniziato a urlare che dovevamo dirgli cosa avesse. Abbiamo provato a spiegargli che non potevamo fare diagnosi perché non è nostro compito, ma non c’è stato verso. Ha iniziato a sbattere i pugni sulle porte».

Spaventate le due dottoresse hanno allertato subito i Carabinieri. «La prima chiamata è stata alle 18.20 circa, praticamente subito dopo la visita, ma ci sono volute altre due chiamate prima di vederli arrivare verso le 18.50-19.00. Il problema è che aveva dimenticato uno zaino». A fatica le giovani sono riuscite a liberarsi dei due uomini, ma non in maniera definitiva. Quello aggressivo si è attaccato al citofono, urlando in strada per poi dirigersi verso la portineria all’esterno dello studio. «È in quel momento che la mia collega si è precipitata fuori per urlare alla donna in portineria di stare attenta. Ma quando l’uomo l’ha vista da lontano l’ha subito raggiunta. Quando ho sentito le grida sono corsa anche io».
Son partite le minacce: «Putt**e tanto lo so come tornare qui», ha urlato l’uomo afferrando la 28enne per i collo. «A me ha provato a tirare un paio di calci, ma non è riuscito a prendermi. Non scorderò mai i suoi occhi. Ora ogni volta che mi si avvicina qualcuno senza preavviso salto dalla paura», ha aggiunto la collega. Stando al racconto di Giada Aveni anche l’uomo che era stato medicato poco prima avrebbe provato a bloccare l’aggressore. I due sono stati fermati, ma sono già a piede libero.

«Ora abbiamo paura che possa tornare», ha concluso la specializzanda. Come darle torto? Quello del medico sta diventando sul serio una professione rischiosa. Stando agli ultimi dati Inail in 5 anni, dal 2016 al 2020, sono stati 12mila gli infortuni sul lavoro per il personale sanitario registrati come violenze, aggressioni e minacce. Parliamo di una media di circa 2.500 l’anno e pare sia un dato sottostimato.





