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Chi è stato il primo serial killer italiano della storia

C’era un tempo, nella Milano di metà Ottocento, in cui certi vicoli sembravano nascondere più segreti di quanti se ne potessero immaginare. Uno di questi era la Stretta Bagnera, un angusto passaggio oggi scomparso, ma un tempo crocevia silenzioso di operai, muratori, piccoli commercianti e oscuri misteri. Era lì che si affacciavano alcuni locali gestiti da un uomo apparentemente rispettabile, sempre riservato, mai sopra le righe. All’apparenza era un tipo qualunque: lavoratore umile, aria pacata, un passato da imprenditore fallito e un presente fatto di mestieri improvvisati. Nessuno avrebbe mai pensato che proprio lui si celasse dietro una delle pagine più nere della cronaca criminale italiana.

Un uomo, molti volti: chi era Antonio Boggia

Antonio Boggia, nato a Urio, sul Lago di Como, nel 1799, si era trasferito a Milano nel 1818 per tentare fortuna. La città era in fermento, piena di opportunità, ma anche spietata con chi non riusciva a tenere il passo. Dopo il fallimento della sua attività, si era reinventato muratore, falegname, carpentiere. Un uomo adattabile. Troppo, forse. Ma dietro quella facciata di normalità si nascondeva un’anima inquietante. Fu solo dopo anni di ombre e scomparse che si cominciò a intuire la verità. E tutto partì da una denuncia: una madre scomparsa, una figlia preoccupata e un testamento lasciato nelle mani sbagliate.

Il caso Ester Maria Perrocchio

Era il 26 febbraio 1860 quando Giovanni Maurier, disperato, si presentò al Tribunale per denunciare la sparizione dell’anziana madre, Ester Maria Perrocchio. Da più di un anno non si avevano sue notizie. Qualcuno diceva che fosse tornata sul Lago di Como. Altri sussurravano che avesse lasciato i suoi beni in amministrazione a un certo Boggia, di cui si fidava ciecamente. Proprio su quell’uomo caddero presto i sospetti. Spulciando tra i suoi precedenti, si scoprì che aveva già tentato di uccidere un contabile, un certo Comi, colpendolo alla testa nei sotterranei della famigerata Stretta Bagnera. Comi si salvò per miracolo, denunciò l’aggressore e lo fece rinchiudere per qualche anno in manicomio. Poi, il silenzio. Fino alla denuncia di Maurier.

Una confessione agghiacciante

Le indagini, rese piuttosto “spicce” dagli investigatori dell’epoca, misero Boggia alle strette. Alla fine confessò l’omicidio di Ester Perrocchio e guidò la polizia fino a un angolo nascosto: il corpo dell’anziana era stato murato nel sottoscala di uno dei suoi edifici. Ma non era finita lì. Durante la perquisizione furono ritrovati atti di procura, documenti e testamenti di altre persone scomparse misteriosamente negli anni precedenti. Tutti avevano un unico filo conduttore: l’uomo che si aggirava nella Stretta Bagnera.

Un serial killer ante litteram

In un’epoca in cui la parola “serial killer” non esisteva ancora, Antonio Boggia ne incarnava già perfettamente il profilo. Silenzioso, manipolatore, apparentemente insospettabile, uccideva per interesse, eliminando chi gli aveva affidato beni, proprietà o fiducia. E lo faceva con metodo, senza scrupoli. Il 18 novembre 1861 si aprì il processo. Gli vennero contestati quattro omicidi e un tentato omicidio, tutti a scopo di rapina, commessi nell’arco di dieci anni. La giuria impiegò appena cinque giorni per dichiararlo colpevole.

Il teatrino dell’infermità

In aula, Boggia tentò il tutto per tutto, provando a fingersi pazzo. Si spogliava in cella, cantava durante la notte, lamentava continui mal di testa. Ai giudici disse di non ricordare nulla, parlò di “raptus”, ma nessuno gli credette. Il suo passato era troppo chiaro, la sua freddezza troppo evidente.

La condanna e l’eredità scientifica

Il 9 aprile 1862 Antonio Boggia venne impiccato. Fu l’ultima esecuzione pubblica avvenuta a Milano. Il suo corpo fu sepolto al cimitero del Gentilino, ma la sua testa seguì un destino singolare: venne donata alla scienza, finendo tra le mani di Cesare Lombroso, il controverso fondatore della fisiognomica criminale. Boggia non fu solo il primo serial killer d’Italia, ma anche uno degli oggetti di studio più emblematici per chi cercava di trovare nella biologia i segreti del male. E anche se la Stretta Bagnera non esiste più, il suo nome resta legato per sempre a un uomo che seppe uccidere con disarmante normalità.