Un gesto quotidiano, tre ciotole sulla tavola. Un rituale che diventa racconto, malattia, rinascita. È da questo spunto che prende forma Tre ciotole, il nuovo film della regista catalana Isabel Coixet, tratto dall’omonimo libro di Michela Murgia, edito da Mondadori. Dopo oltre 200mila copie vendute, il volume diventa ora un’opera cinematografica intensa, sensoriale, delicata. L’anteprima mondiale è attesa per il Toronto International Film Festival (TIFF), in programma dal 4 al 14 settembre. L’uscita nelle sale italiane è prevista il 9 ottobre, distribuita da Vision Distribution.
A interpretare i protagonisti di questa storia che unisce il cibo al dolore, il corpo al linguaggio delle emozioni, sono due interpreti d’eccezione: Alba Rohrwacher e Elio Germano. Insieme raccontano una separazione, un’incomprensione, e poi la scoperta tardiva e lancinante che la fame negata è più profonda di quanto si pensi.
Marta e Antonio: amore, appetito e diagnosi
La trama si sviluppa a partire da un momento apparentemente banale: un litigio. Dopo la rottura, Marta, interpretata da Rohrwacher, si chiude in se stessa. L’appetito scompare. Antonio, chef promettente (Germano), si getta nel lavoro, ma non riesce a dimenticarla. Quando Marta scopre che quella fame svanita non è solo frutto del dolore, ma il sintomo di una malattia, il mondo si ribalta: cambia il modo di sentire, gustare, vivere. Ispirato liberamente a uno dei racconti più intensi contenuti in Tre ciotole. Rituali per un anno di crisi, il film non si limita a trasporre la parola in immagine: la dilata, la traduce in corpo, in sguardo, in silenzio.
La Coixet, da sempre attenta all’intimità femminile e alla complessità del desiderio (La mia vita senza me, Elegy, La vita segreta delle parole), firma anche la sceneggiatura insieme a Enrico Audenino, costruendo una narrazione che sa essere politica e poetica allo stesso tempo.
Un’eredità potente, per immagini
Michela Murgia ha scritto i racconti di Tre ciotole in uno dei momenti più duri della sua vita, dopo la diagnosi della malattia che l’avrebbe portata via. Ma non ha mai voluto consegnare al lettore un testamento. Piuttosto una mappa: di corpi, paure, passioni. La trasposizione cinematografica ne raccoglie lo spirito senza indulgere nella retorica. Anzi, sceglie la sottrazione come cifra espressiva.
Rohrwacher regala al personaggio di Marta un’intensità che si muove sottopelle, mai urlata. Germano è un compagno spezzato, che cucina per dimenticare, ma non riesce a saziarsi. Attorno a loro, un cast che comprende anche Silvia D’Amico, Galatea Bellugi, Francesco Carril e Sarita Choudhury, in una produzione italo-spagnola che coinvolge Cattleya, Ruvido Produzioni, Bartlebyfilm, Vision Distribution e una rete internazionale di coproduttori europei.
Non solo cinema: un gesto d’amore
Tre ciotole è molto più di un film tratto da un libro. È una riflessione sulla fragilità e sulla cura, un atto d’amore verso un’autrice che ha saputo parlare del dolore senza cedere al pietismo. Portare Murgia al cinema significa dare nuova voce a una donna che non ha mai smesso di interrogare la vita, anche nei suoi silenzi più duri. Nel rumore di un mondo che ha fretta di dimenticare, Tre ciotole invita a sedersi, respirare, e ascoltare ciò che ci tiene ancora in piedi. Anche quando manca l’appetito.





