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Sgarbi nel libro sulla Natività cerca l’essenza del rapporto madre-figlio

«Cosa significa essere madre? Solo l’arte, forse, lo ha saputo raccontare». A parlare così al «Corriere della sera» Vittorio Sgarbi, che è tornato in libreria con un volume, in cui coesistono due anime: quella del critico appassionato e di figlio per sempre. Il libro, pubblicato da “La Nave di Teseo”, si intitola Natività, Madre e figlio nell’arte. Sgarbi ha cominciato a lavorarci dopo le sue dimissioni da Sottosegretario alla cultura: «Ho dovuto rispondere di un conflitto che è un conflitto con la natura stessa della mia vita, cioè quello che avevo sempre fatto, conferenze discorsi mostre: mi sembrava confacente alla funzione, non era estraneo». Nella sua ultima fatica letteraria Sgarbi è tornato a riflettere su capolavori come la Madonna del parto di Piero della Francesca.

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Vittorio Sgarbi nel libro sulla Natività cerca l’essenza del rapporto madre-figlio

Nel libro Natività Sgarbi cerca l’essenza del rapporto tra una madre e il proprio figlio: «Nell’arte è il tema vitale, da quella bizantina fino al Trecento/Quattrocento con il tema della Madonna con il bambino cui si cerca di intendere la natura quotidiana, di vita semplice con rapporti e gesti affettuosi che si muovono dalla madre al bambino: sono la parte più singolare di questa grande tradizione pittorica, umanizzare il divino. Il libro evidenzia alcuni capolavori interpretati non nella dimensione dell’arte, ma nella dimensione della umanità come nell’Adorazione dei pastori di Caravaggio, questa donna che sta lì nel fango proteggendo un bambino dal freddo con dei pastori che sono figure di un mondo che non ha nessun riscatto, non sono chiamati dalla cometa ma sono quelli che si trovavano lì in quel momento hic et nunc , in una dimensione naturale ma soprattutto che toglie loro ogni privilegio: in Caravaggio non c’è privilegio». Nel volume il critico indugia anche sul noto quadro di Courbet, L’Origine della vita. Nel libro si legge: «Non è un rovesciamento del tema della maternità ma ne rappresenta l’assoluto archetipo». E Sgarbi ha confermato nell’intervista quest’idea: «È l’intuizione della creazione, quindi della nascita come nascita del mondo, è un fatto filosofico, non c’è nessuna provocazione, è la riduzione dell’essenza della vita che passa attraverso l’organo sessuale». 

Cos’è la vecchiaia nell’arte? E per il noto critico?

Il rapporto con la madre, la signora Rina, è stato quasi simbiotico: «Lo è stato sostanzialmente per me, dal momento dell’infanzia fino a qualche anno prima della sua morte: tutto quello che io facevo era dialogato e concordato con lei, lei in qualche modo era stata mia madre e io quasi un padre, nel senso di dare delle indicazioni di vita e di comportamento che mia madre ha assunto come propri: quindi un’operazione di riformazione, di rieducazione dei genitori, conclusa da me in età di figlio con loro che sono diventati miei contemporanei». Nell’intervista Sgarbi ha svelato anche i suoi impegni nei prossimi mesi: «Ilprogetto per una mostra sull’arte e la vecchiaia, la dovevamo progettare per il Giubileo, abbiamo rimandato, sono i grandi capolavori degli artisti negli anni tardi. Tiziano, Michelangelo…». 

Cos’è la vecchiaia nell’arte? «È una forma di giovinezza consapevole, cioè quello che tu fai in giovinezza per istinto nella vecchiaia diventa una specie di riflessione sul destino, sulla vita, sul tempo. Quindi i grandi maestri nelle loro ultime opere sono più intensamente filosofici, riflessivi, spirituali, si caricano di una dimensione che non è il virtuosismo o la capacità di essere geniale e di avere delle intuizioni che valgono la cosa, la cosa viene conquistata con una lenta riflessione e meditazione sul tempo e sulla fine», ha spiegato Sgarbi, che ha detto poi cos’è per lui: «La vedo pericolosa perché si è più fragili nel senso che la morte è più vicina alla vecchiaia… Certo, c’è un ruolo di autorevolezza, un rispetto per i saggi, l’idea di dedicare tempo a persone a cui non lo hai non dedicato nel passato».