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Saviano, le lacrime dopo la sentenza: «Mi hanno rubato la vita», confermate le condanne ai boss

Non piangeva così da tempo, da quel 13 agosto di due anni fa, al funerale dell’amica Michela Murgia, nella Chiesa degli Artisti a Piazza del Popolo. Ma stavolta, nella Corte d’Appello di Roma, il dolore di Roberto Saviano è stato più crudo, viscerale, come se vent’anni di tensione fossero crollati tutti insieme. «È vero», ammette piano, mentre si infila in fretta in una delle due auto blindate che lo attendono fuori da piazzale Clodio. Poco prima, era scoppiato in un pianto incontenibile, stretto nell’abbraccio del suo avvocato Antonio Nobile: «Mi hanno rubato la vita, mi hanno maciullato», ripeteva a voce bassa, quasi senza fiato. Attorno a lui, il sostegno commosso del pubblico accorso da tutta Italia: da Torino, Bologna, Pesaro, persone venute solo per lui, per stringersi attorno al giornalista che ha osato raccontare la camorra come nessuno prima.

Il giorno del giudizio per “Cicciotto ‘e mezzanotte”

Dall’altro lato dello schermo, in videocollegamento dal carcere di Opera, c’era lui: Francesco Bidognetti, detto Cicciotto ‘e mezzanotte, boss del clan dei Casalesi, l’uomo che dal 2008 ha cambiato per sempre la vita di Saviano. Quel volto proiettato nel monitor non è stato facile da reggere. «Non ha saltato neanche un’udienza in trent’anni. Le udienze sono la sua ora d’aria», dice lo scrittore con amarezza. Ieri, per la prima volta, la giustizia ha messo nero su bianco quello che Saviano aveva denunciato fin dal principio: quel proclama letto dall’avvocato Michele Santonastaso durante il processo Spartacus, non era solo una dichiarazione, ma una vera e propria condanna a morte, lanciata contro di lui e contro la giornalista Rosaria Capacchione.

«Voglio solo un po’ di libertà»

Dopo quasi vent’anni sotto scorta, Saviano appare esausto. «Mi hanno distrutto la vita e io non sono stato capace di gestire tutto questo», dice. La sua voce è rotta. Da quando ha pubblicato Gomorra, nel 2006, non ha mai più conosciuto una vita normale. «C’era chi diceva che non avevo bisogno della scorta, che era un privilegio. Ma io sogno ogni giorno una passeggiata, una gita in moto, un po’ d’aria». Dalle prime file, una ragazza romana prova a spezzare la tensione: «Te la compro io la moto, Roberto». Lui accenna un sorriso stanco, ma non riesce a sciogliersi del tutto.

Il marzo del terrore: era l’anno 2008

Saviano torna con la mente a quel marzo del 2008, quando aveva solo 29 anni. «Era il 18, quattro giorni dopo il proclama di Bidognetti. Avevo già la scorta. Ma all’improvviso l’autista cambiò strada. Mi portarono via dalla Campania, in un’isola, senza nemmeno una valigia. C’era pericolo imminente, diceva la Procura. C’era Giuseppe Setola, ‘o Cecato, il killer della strage dei ghanesi, che mi cercava con le sue paranze…». Lì è nato il Saviano che conosciamo oggi: un uomo che da allora non ha mai più dormito davvero tranquillo, che ha dovuto reinventarsi sotto protezione, vivere perennemente nel mirino.

«Questa è la sentenza più importante della mia vita»

«Perché?», gli chiedono. E lui risponde con una lucidità che fa male: «Perché mai prima d’ora, in nessun tribunale al mondo, si era visto un boss e il suo avvocato prendere di mira dei giornalisti come responsabili delle proprie condanne. Non la politica. I giornalisti». Poi l’ultima stoccata, quella più amara: «Avete visto qualcuno della politica in Aula oggi? Io no. E ne prendo atto».


Chi è Roberto Saviano

  • Roberto Saviano, classe 1979, è uno scrittore e giornalista originario di Napoli.
  • È diventato noto in tutto il mondo con il libro “Gomorra” (2006), un reportage narrativo sulla camorra che ha venduto oltre 10 milioni di copie e ha dato origine a un film e a una serie tv.
  • Da allora vive sotto scorta, a causa delle minacce ricevute dai clan camorristici.
  • Autore di numerosi libri e interventi civili, è anche saggista e sceneggiatore.
  • Ha scritto per La Repubblica, L’Espresso, The Guardian, The New York Times.
  • La sua battaglia contro il crimine organizzato lo ha reso una delle figure pubbliche più divisive e discusse del panorama culturale italiano.