Negli ultimi anni si è verificato un fenomeno tanto evidente quanto inquietante: la fiducia nelle istituzioni tradizionali è crollata, mentre cresce quella verso figure nate sui social network.
Oggi milioni di persone, soprattutto giovani, si informano e formano opinioni su politica, salute, economia e stili di vita seguendo influencer, creator e streamer.
Ma come siamo arrivati a considerare più credibile un volto su Instagram di un ministro o di un giornale?
La risposta sta nella profonda trasformazione del rapporto tra fiducia, comunicazione e identità nella società digitale.
Il crollo della fiducia istituzionale
Secondo il Rapporto Edelman Trust Barometer 2024, solo il 36% degli italiani dichiara di fidarsi del governo e appena il 42% dei media tradizionali.
In contrasto, oltre il 60% afferma di riporre “molta o abbastanza fiducia” nelle persone che segue online.
Questi dati non sono un’anomalia italiana: in quasi tutti i Paesi occidentali, le istituzioni soffrono di una crisi di credibilità.
Scandali, burocrazia, linguaggi complessi e una comunicazione distante hanno contribuito a creare un senso diffuso di sfiducia e disconnessione.
In un mondo che cambia rapidamente, le istituzioni appaiono lente, rigide e autoreferenziali. Gli influencer, al contrario, sembrano agili, autentici e vicini.

Gli influencer come “nuovi mediatori sociali”
Nell’ecosistema digitale, gli influencer non sono solo testimonial o intrattenitori: sono diventati mediatori di senso.
Traducendo temi complessi in linguaggio semplice e immediato, riescono a raggiungere pubblici che le istituzioni non intercettano più.
Un esempio emblematico è quello di Chiara Ferragni, che durante la pandemia ha raccolto milioni per la sanità e ha contribuito a diffondere messaggi di responsabilità civile.
Oppure di Dario Moccia e altri streamer italiani, che spesso parlano di politica, attualità e temi sociali a un pubblico giovane che difficilmente guarda i telegiornali.
Il potere degli influencer sta nel costruire un rapporto di prossimità emotiva: parlano “da pari a pari”, usano un tono diretto, mostrano fragilità e quotidianità.
Mentre la comunicazione istituzionale appare distante e formale, quella degli influencer è umana, spontanea e partecipativa.
La logica della fiducia digitale
Sui social, la fiducia non nasce da titoli o ruoli, ma da percezioni di autenticità.
Secondo una ricerca dell’Università Cattolica di Milano (2023), il 74% degli under 35 afferma di fidarsi di un influencer “perché lo percepisce come sincero e simile a sé”.
La credibilità, nel mondo digitale, si costruisce attraverso la trasparenza quotidiana: mostrare la propria vita, rispondere ai commenti, condividere dubbi e fallimenti.
Le istituzioni, invece, continuano a comunicare in modo verticale, controllato, spesso burocratico.
Questa distanza linguistica e psicologica crea un vuoto che i creator colmano, offrendo una narrazione più calda, empatica e orizzontale.
Nel tempo, la percezione di vicinanza diventa più importante dell’autorità formale.
L’effetto comunità: appartenenza e identità
Un influencer non comunica solo informazioni: crea comunità.
Chi segue un creator si sente parte di un gruppo, condivide valori, linguaggio, riferimenti culturali.
È un senso di appartenenza che le istituzioni, spesso percepite come impersonali, non riescono più a generare.
Su piattaforme come TikTok o Twitch, l’engagement non è solo consumo passivo: è interazione continua, fatta di commenti, meme, battute, sfide e reazioni.
L’influencer diventa così un punto di riferimento affettivo, un “amico digitale” in un mondo frammentato.
In un’epoca di incertezza, molti cercano nel web ciò che non trovano altrove: ascolto, riconoscimento e identità.
Quando la fiducia diventa potere
Questa nuova forma di fiducia non è neutrale.
Gli influencer detengono oggi un potere comunicativo enorme, capace di orientare consumi, voti e opinioni pubbliche.
Campagne di sensibilizzazione, raccolte fondi, ma anche boicottaggi e proteste nascono e si diffondono grazie alla loro influenza.
Basti pensare all’effetto di Greta Thunberg nel movimento ambientalista o alle mobilitazioni sociali nate da post virali.
In Italia, un creator come Fedez ha saputo portare temi come la libertà di espressione e la disuguaglianza economica nel dibattito mainstream, bypassando i canali tradizionali.
Ma questa concentrazione di fiducia in figure individuali solleva anche problemi etici e politici: chi controlla la qualità delle informazioni? Chi garantisce la trasparenza economica e ideologica dietro i messaggi?

Il rischio dell’influenza incontrollata
Non tutti gli influencer sono informati o responsabili.
La stessa fiducia che li rende potenti può trasformarsi in un rischio di manipolazione o disinformazione.
Durante la pandemia, numerosi creator hanno diffuso teorie infondate su vaccini e cure, contribuendo alla confusione pubblica.
Il fenomeno è stato definito dagli esperti “infodemia emotiva”: un flusso di informazioni basate sull’impatto emotivo più che sulla veridicità.
In questo scenario, la fiducia si sposta dal contenuto alla persona, con conseguenze potenzialmente pericolose per la democrazia.
Come spiega la sociologa Shoshana Zuboff, “quando la fiducia si privatizza, la verità diventa un’opinione personale”.
Le istituzioni alla prova del linguaggio digitale
Per recuperare credibilità, le istituzioni devono imparare a comunicare in modo più umano e dialogico.
Non basta essere presenti sui social: occorre adattarsi ai codici della rete senza perdere autorevolezza.
Alcuni tentativi ci sono già: il Ministero della Salute e l’INPS, ad esempio, hanno lanciato campagne digitali pensate per un linguaggio giovane e diretto.
Ma serve di più: trasparenza, ascolto e capacità di rispondere in tempo reale.
La fiducia si costruisce non solo con i dati, ma con l’empatia e la coerenza tra parole e azioni.
Un nuovo patto di fiducia
La fiducia negli influencer racconta, in fondo, un bisogno profondo di autenticità e relazione.
Non è solo un fenomeno mediatico, ma un segnale del cambiamento dei paradigmi sociali.
Le persone non vogliono più istituzioni che parlano “dall’alto”, ma interlocutori che ascoltino, condividano e si mostrino umani.
Il futuro della comunicazione pubblica passerà da qui: dalla capacità di unire autorevolezza e prossimità, competenza e dialogo.
Solo così le istituzioni potranno riconquistare un posto nel cuore — e nei feed — dei cittadini.
Fonti e approfondimenti:
- Edelman Trust Barometer 2024 – Global Report
- Università Cattolica di Milano – Osservatorio Social Communication 2023
- Shoshana Zuboff, Il capitalismo della sorveglianza
- Nielsen Italia – Digital Influence Report 2024
- ISPI – Generazione Z e fiducia nelle istituzioni
Foto di Artem Podrez e Foto di Andrea Piacquadio e Foto di Los Muertos Crew





