L’11 novembre del 1927 nasceva a Berceto, in provincia di Parma, Luigi Malerba, tra le penne più felici del Novecento. Alle parole questi ha dedicato tutta la vita (gli piaceva raccontare che la prima lettura di cui aveva memoria era quella di un dizionario trovato casualmente in casa), sperimentando oltre i limiti del possibile, arrivando ad adottare quelle desuete e abbandonate, o addirittura ad inventarne di nuove quando le preesistenti gli parevano non essere abbastanza. Come avvolta in sogno, la narrativa di Malerba cammina sul filo dell’assurdo, muovendosi tra erotismo, visionarietà e umorismo, eseguendo continui salti mortali sia in ambito linguistico che strutturale, facendo il vuoto attorno a sé, creando altresì un inatteso senso di vertigine nel protagonista, nel narratore e nel lettore.
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Nasceva oggi Luigi Malerba: viaggio nella sua narrativa
Luigi Malerba, pseudonimo di Luigi Bonardi, frequenta il liceo classico Gian Domenico Romagnosi. La sua è una classe piena di talenti: tra i suoi compagni ci sono alcune future grandi firme del giornalismo italiano come Baldassarre Morosi, Giorgio Torelli e Alfonso Madeo. Sono anni fondamentali nella formazione del giovane Malerba: Parma è un crocevia di iniziative culturali promosse da intellettuali, quali Attilio Bertolucci e Cesare Zavattini. Diplomatosi nel 1946 con una media dell’otto, si iscrive alla facoltà di Giurisprudenza dell’Università di Parma. Appassionato di cinema, dopo aver iniziato a scrivere articoli sulla rivista “Cinema”, diretta da Adriano Baracco, fonda “Sequenze, quaderni di Cinema”, a cui parteciperanno anche collaboratori esterni di spicco come Mario Verdone, Antonio Marchi e Guido Aristarco. Negli anni Cinquanta si trasferisce nella capitale, dove lo zio, Padre Giovanni Bonardi, gli ha trovato un posto come ufficio stampa per un’importante mostra d’arte, organizzata dai Missionari Saveriani, in occasione dell’anno santo.

Nasceva oggi Luigi Malerba, uomo di cinema e letteratura
«Nel gennaio del ’50 sono letteralmente scappato da Parma, una città civilissima, ma con un clima insopportabile […]. Una migrazione la mia, come quella degli uccelli che vanno in cerca di condizioni di clima favorevoli. Fra parentesi dirigevo “Sequenze”[…], un ottimo biglietto da visita per l’ambiente cinematografico romano. Il clima, il cinema: due buoni motivi per trasferirmi a Roma», raccontò Luigi Malerba. Andò ad abitare con Attilio Bertolucci, arrivato da poco nella capitale, in un appartamento di Luigi Longo in via del Tritone, «quasi all’angolo di via Sistina, al quinto piano con una grande vetrata dalla quale si vedeva un giardino interno di pini altissimi, insospettabile in quella strada. Mobili antichi, due Morandi in camera da letto e nel soggiorno un quadro di Cavagliere». Possiamo ben dire che Roma, quella Roma senza traffico, ma carica di belle speranze, lo accoglie a braccia aperte: conosce figure come Antonioni, Monicelli, Malaparte; diventa amico di Angelo Guglielmi, Elio Pagliarani, Antonio Delfini, Mino Maccari ed Ennio Flaiano. Proprio con quest’ultimo lavora per la prima volta ad una sceneggiatura (il film era Servizio sensazionale, che tuttavia non verrà mai realizzato) ed è sempre Ennio Flaiano ad “aprirgli le porte” della letteratura, presentandolo all’editore Bompiani, che gli pubblicherà La scoperta dell’alfabeto, una raccolta di ventidue racconti, che narrano in chiave umoristica le vicende di un gruppo di contadini parmensi negli anni della seconda guerra mondiale.
«Il figlio dei padroni diventò amico del vecchio e dopo l’alfabeto scrissero insieme tante parole, corte e lunghe, basse e alte, magre e grasse come se le figurava Ambanelli. Il vecchio ci mise tanto entusiasmo che se le sognava la notte, parole scritte sui libri, sui muri, sul cielo grandi e fiammeggianti come l’universo stellato. Certe parole gli piacevano più di altre e cercò di insegnarle anche alla moglie. […] Su vecchi pezzi di giornale Ambanelli andò a cercare le parole che conosceva e quando ne trovava una era contento come se avesse incontrato un amico». (da “La scoperta dell’alfabeto”).
Luigi Malerba: la vita, le opere e qualche curiosità
Malerba ha trentasei anni; è il 1963, un anno significativo tanto per lo scrittore di Berceto, quanto per la narrativa italiana, che vede nascere il Gruppo 63’, movimento di neoavanguardia, esito di un convegno tenuto all’Hotel Zagarella, a Palermo, a cui aderiscono i poeti novissimi (Alfredo Giuliani, Elio Pagliarani, Nanni Balestrini), Angelo Guglielmi, Renato Barilli, Alberto Arbasino, Umberto Eco e lo stesso Luigi Malerba. «La mia partecipazione alle iniziative del gruppo 63’ è stata quella di semplice aggregario, non di protagonista. […] Alle discussioni di quegli anni sono debitore di molte mie consapevolezze e sollecitazioni per il mio lavoro successivo», le parole dello scrittore.

L’ossessione per le parole e l’amore per il cinema
L’iniziazione letteraria non smorza la sua passione per il cinema, continua, infatti, la sua attività di sceneggiatore. Nel ’52 partecipa alla riduzione cinematografica del Cappotto di Gogol’, a cui stava lavorando Cesare Zavattini, vero maître a pensér dell’epoca, che gli insegna i ferri del mestiere: «Il mio lavoro si concretizzava a casa di Lattuada, pagine di sceneggiatura che poi venivano sottoposte al giudizio di Za, il quale faceva i suoi interventi camminando avanti e indietro e battendo i piedi sul pavimento […]. Ricordo la sorpresa di Zavattini quando facevo timidamente le mie proposte che venivano approvate con calore da Lattuada. Comparve qualche ruga sulla fronte del grande maestro il giorno che osai proporre un’idea più zavattiniana di Zavattini: il povero interpretato da Rascel che infreddolito e solitario si scalda le mani al soffio fumante delle narici del cavallo al traino di una carrozza pubblica. Una trovatina, che insieme ad altre, mi aveva promosso al rango di sceneggiatore di prima classe e mi aveva valso come premio l’assunzione comeassistente alla regia». Nel ’53 lavora al film corale L’amore città, primo esperimento di docu-film, voluto da Za, del quale nel frattempo era divenuto grande amico, a cui presero parte registi di talento come Dino Risi, Michelangelo Antonioni, Alberto Lattuada e Federico Fellini. Sempre in quegli anni esordisce come regista, assieme ad Antonio Marchi; il film è Donne e soldati, una pellicola ambientata nel Quattrocento in Emilia Romagna, che sarà fonte di ispirazione per l’Armata Brancaleone di Mario Monicelli. Anche i registi stranieri lo cercano, basti pensare che nel ’65 lavora alla sceneggiatura di Casino Royale, tratto dal libro di Ian Fleming.

«Ogni mio libro nasce da una indignazione o da un grave disagio»
«Della mia esperienza cinematografica ho imparato molte cose. Per esempio il montaggio. Posso scrivere senza ordine i capitoli di un libro per poi sistemarli alla fine. Qualche volta scrivo subito il finale della storia, come per fissare una meta al mio viaggio». Sul fronte sentimentale significativo sarà il 1961: ad una festa, organizzata proprio a casa sua, conosce Anna Lapenna, che diverrà sua moglie. Nel ’66 Luigi Malerba pubblica Il serpente, un romanzo sperimentale apprezzato tanto dai lettori quanto dalla critica. Protagonista è un mitomane che mente dalla prima all’ultima riga: egli ha un’eccitante storia d’amore con una romana e usa tutti i mezzi per farla sua. Però non è vero niente: non esiste la ragazza, non è successo nulla di quello che il protagonista ha raccontato. Due anni dopo esce Salto Mortale, con il quale Malerba si aggiudica due riconoscimenti il Premio Sila e il Prix Médicis Etranger nel ‘70. Si tratta di un giallo insoluto. A Paolo Mauri lo scrittore spiega così l’origine del suo secondo romanzo: «Ogni mio libro nasce da una indignazione o da un grave disagio. Salto mortale per esempio corrisponde ad una estate di allergie trascorsa in una casa al centro della pianura di Pavona vicino Roma». Nel ’77 vengono stampate Storie dell’anno Mille, scritte, a partire dal ’69, in coppia con Tonino Guerra, che hanno per protagonista l’eroe Millemosche, e Le parole abbandonate, un repertorio di parole dialettali. Nel ’73 esce sempre per Bompiani Il protagonista, la cui voce narrante è l’organo sessuale maschile. Un’opera che suscita la curiosità di alcuni critici letterari come Guido Almansi, Enrico Falqui e Walter Pedullà. L’anno dopo è la volta de Le rose imperiali, una raccolta di diciotto racconti dal gusto esotico e fiabesco, ambientati nella Cina medievale durante la reggenza dell’imperatore Che Huang-ti.

Nasceva Luigi Malerba, autore anche di libri per bambini
Nel ’75 Malerba pubblica, questa volta con Einaudi, Mozziconi, la storia di un baracchese, che vive lungo le sponde del Tevere. Come spiegherà in un’intervista del ’84 pubblicata su La Stampa, oggi contenuta in Parole al vento: «Mi piace mettere in imbarazzo i miei piccoli lettori, sconcertarli con i paradossi, fargli capire che il mondo è strano e pieno di inganni e addestrarli fin da bambini a diffidare dei conformismi istituzionali e dei modelli confezionati, a vedere il lato ridicolo delle cose». Tre anni dopo esce per Bompiani Il pataffio, «una favola scritta da uno che legge i giornali tutti i giorni», che è anche una straordinaria prova di sperimentalismo linguistico. Nel frattempo continua a dedicarsi alla letteratura per ragazzi: nel ’78 escono C’era una volta la città di Luni, Pinocchio con gli stivali e Storiette.
L’anno seguente Malerba pubblicherà Le galline pensierose, definito dallo stesso autore libro anfibio, un testo che i ragazzi dovrebbero leggere insieme ai genitori, i primi li troveranno delle godibili favolette, i secondi «apologhi zen o aforismi», per usare una felice espressione di Italo Calvino. Nel 1979 esce la surreale raccolta Dopo Il pescecane, costituita da diciassette racconti, che vanno a costruire una sorta di mosaico sociale. Il 1981 è l’anno di Diario di un sognatore, la trascrizione dei sogni dello scrittore registrata durante un periodo che va dal dicembre del ‘78 a quello dell’anno successivo.
«Ho molte volte preso spunto dai miei sogni per scrivere favole o racconti e qualche volta ho sognato addirittura dei racconti già composti nella loro struttura letteraria. […] Il sogno in qualche caso non è dunque solo un magazzino dal quale attingere materiali grezzi, ma una vera e propria officina che fornisce materiali parzialmente elaborati».
Il libro più politico suo “Il pianeta azzurro”
Nel ’86 egli pubblica per la prima volta con Garzanti, propone all’editore un romanzo, il più politico della produzione malerbiana, intitolato Il pianeta azzurro, che entra nella cinquina del Premio Strega, per poi essere ritirato. Due settimane dopo lo scrittore riceve la lettera che gli annuncia la vittoria al Premio Mondello. A distanza di anni, nel 1998, con la solita ironia che lo contraddistingue afferma su L’Espresso: «Se fossi un giovane scrittore starei alla larga dai premi, come del resto già fanno i migliori. […] Preferisco il “Gratta e Vinci”, anche perché posso sperare in un premio sostanzioso. Ma il “Gratta e Vinci” lo suggerisco anche ai giovani scrittori per evitare le delusioni e le umiliazioni. E non c’è nemmeno bisogno di scrivere un libro». Reduce dal successo di Testa d’argento (1988), una raccolta di racconti, la cui scrittura, a detta dello stesso Malerba, si è intrecciata con quella dei due libri precedenti – a significare che i racconti non sono una pausa nel suo percorso narrativo, ma un collante che tiene insieme tutto il resto – comincia a scrivere Il fuoco greco, romanzo storico, genere letterario a lui particolarmente congeniale, tanto è vero che nel ’95 pubblica Le maschere.

Tra i libri più amati di Luigi Malerba “Itaca per sempre”
Due anni dopo è il turno de Le pietre volanti, il cui protagonista Ovidio Romer, è liberamente ispirato all’amico Fabrizio Clerici, artista di incubi e sogni. Come tutte le opere malerbiane però essa è tutt’altro che scontata, tant’è vero che all’idea biografica di base si agganciano temi cari allo scrittore emiliano: il sogno, l’erotismo, il giallo e l’assurdo. Riempire gli “spazi bianchi” della narrativa è una delle tante prerogative della narrativa di Luigi Malerba, che nel 1997 egli pubblica Itaca per sempre, una sorta di diario a due voci: quella di Ulisse e della moglie Penelope. Il ’99 è un anno difficile: all’ospedale San Giovanni nella clinica Mater Dei, Malerba deve sottoporsi ad un delicato intervento alla colonna vertebrale a causa di una forte artrosi cervicale. Qualcosa va storto: così lo scrittore, per evitare di finire sulla sedia a rotelle, va a Parigi, dove nel Complesso Ospedaliero della Salpêtrière, viene operato due volte. Tutto va come deve andare, ma naturalmente la vita di Malerba cambia: le difficoltà di movimento rendono difficili i lunghi viaggi che faceva in compagnia della moglie, dei quali si trova traccia in due libri Il viaggiatore sedentario (1993) e Città e dintorni (2001).

L’amicizia con Cesare Zavattini e altri intellettuali italiani
Nonostante le difficoltà riesce a curare l’edizione dei Proverbi italiani, editi dall’istituto poligrafico della Zecca dello Stato, e La superficie di Eliane, che si aggiudica il Premio speciale della Presidenza del Consiglio. A marzo del 2002 esce La composizione del sogno, un saggio su cui torna a riflettere sull’importanza dell’attività onirica. A giugno dà alle stampe, invece, il romanzo, Il circolo di Granada, che strizza l’occhio allo scrittore Borges. Nel 2003 pubblica una nuova raccolta di racconti, che riscuote un notevole successo di pubblico, intitolata Ti saluto filosofia. Quello stesso anno esce anche il libro Le lettere di Ottavia, la prima vera opera scritta da Luigi Malerba nel lontano ‘56, e che era stata pubblicata a puntate nella rivista Cinema Nuovo. Attraverso gli occhi della giovane protagonista a caccia di fama, l’autore ci racconta l’altra faccia del cinematografo, quella che lui, da sceneggiatore di razza quale era, aveva imparato a conoscere. Nel 2005 torna ad occuparsi dell’amico Cesare Zavattini, morto nel ’89, scrivendo su invito di Guido Conti, direttore della casa editrice Mup di Parma, la prefazione al volume Dal soggetto alla sceneggiatura. Come si scrive un capolavoro: Umberto D.

Lo scrittore di Berceto si spegne a Roma nel 2008
Ad ottobre del 2006 esce il romanzo Fantasmi romani, che nell’uso del monologo esteriore riprende il precedente Itaca per sempre. La molla fondamentale dell’opera resta l’ironia, a proposito della quale lo scrittore di Berceto dice in una delle ultime interviste: «L’ironia ci aiuta a scrivere sulla borghesia, argomento difficile perché la borghesia quasi non esiste più, nonostante l’affermazione di Joseph Roth che ho messo in testa al mio libro e cioè che la borghesia è immortale». Nel maggio del 2008 Malerba pubblica con la casa editrice Manni Il sogno di Epicuro. Pochi giorni dopo l’uscita del libretto, l’8 maggio, lo scrittore si spegne. Muore nel sonno nella sua casa romana in Via della Domus Aurea.

Da non perdere il libro-intervista “Parole al vento” della figlia Giovanna Bonardi edito da Manni
A settembre sempre per l’editore Manni esce, a cura della figlia Giovanna Bonardi, Parole al vento, lo splendido libro-intervista che è alla base di questo breve viaggio nella vita di Luigi Malerba. Un libro meraviglioso che ci offre la possibilità di entrare in punta di penna nella sua officina sperimentale, di scoprire qualcosa in più sui suoi libri, di conoscere da vicino Malerba, uno degli scrittori più brillanti del Novecento. Se fosse stato un personaggio della letteratura sarebbe stato «un Don Chisciotte alla sbaraglio abbandonato da Sancio Panza» e se avesse potuto scegliere quale donna corteggiare non avrebbe avuto dubbi: «Madame Bovary, per essere sicuro di non perdere tempo inutilmente». Il libro da leggere e rileggere secondo Malerba? Le mille e una notte. Quello più erotico? Il Cantico dei Cantici. Divertente? L’Antico Testamento. Ogni libro era una scommessa con sé stesso e con i suoi lettori. Da bravo giocatore di poker quale era, Malerba amava il rischio, gli piaceva vincere, «però posso giurare (a chi mi conosce) di non avere mai barato né al tavolo del poker né a quello della macchina da scrivere».
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