Si continua a parlare di molestie nel mondo dello spettacolo italiano, della battaglia del collettivo Amleta. Il #Metoo è un fenomeno che purtroppo riguarda anche il nostro Paese. A parlare questa volta ai microfoni di “Repubblica” Elena Dragonetti, nota attrice, diplomata alla Scuola dello Stabile, oggi direttrice artistica del teatro ragazzi al Teatro Nazionale di Genova. Sono passati quasi vent’anni dalla telefonata arrivata alle tre di notte di un noto regista, che le chiedeva di tornare per sottoporla ad un provino. A quella chiamata lei non rispose, aveva il cellulare spento.
Quel messaggio notturno in segreteria l’ascoltò solo la mattina dopo: «Era il regista. Mi chiedeva di tornare perché voleva farmi un altro provino. Diceva che mi aspettava in albergo per rivedermi. Era un messaggio molto strano, perché tra l’altro non era lui a fare le convocazioni». Elena Dragonetti decise di presentarsi la mattina dopo, accompagnata dal fidanzato di allora. «Il provino l’ho rifatto, sì. E ho ottenuto una piccola parte. Ma il dubbio rimane: come sarebbe andata? E, soprattutto: è questo il metro per assegnare piccole e grandi parti?».

Per questa ragione la dolorosa denuncia del collettivo Amleta, di cui si sta occupando “Repubblica”, «è fondamentale, perché sottrae questi episodi a una zona grigia e li fa emergere, li rende evidenti. Quando trasformi una sensazione diffusa in numeri, dati, circostanze, non si tratta più solo di un sentore: entriamo nel campo di realtà. E togliamo anche quella dimensione di vittimismo», ha evidenziato l’attrice.
Esiste una zona grigia nel mondo del teatro, inutile continuare a mettere la testa sotto la sabbia. Non è però semplice: «La dimensione del teatro è estremamente delicata. Perché, di fatto, in teatro tutto è possibile. Mi spiego: in ufficio una mano su una gamba è qualcosa che non deve starci. Ma su palcoscenico è più difficile individuare i confini, c’è la dimensione della recitazione, la questione di essere disponibile come attrice a metterti i gioco sulla scena. Per questo è più difficile muoversi in una zona grigia: dove anche individuare una molestia diventa più difficile, sfumato», ha dichiarato la Dragonetti.

La stessa invita ad uscire da questa dimensione di ambiguità che fa male alle donne: occorre cambiare mentalità. «Spesso noi stesse ci ritroviamo fare la graduatoria della gravità degli episodi, ci abituiamo a minimizzarli, a dire: può succedere. Io vengo da un paesino del centro sud dove è diffuso un approccio maschile in cui sembra normale guardare in un certo modo una donna e fare apprezzamenti. E se dici qualcosa la risposta è: eh mamma mia, e cosa sarà successo. Ti sembra di non avere mai il diritto di dire no. Invece dobbiamo imparare che non è necessario arrivare a situazioni estreme. Si può dire no anche a una mano che sta dove non deve stare. E qui sta il pregio della battaglia di Amleta», ha sottolineato.
In altre parole occorre che le donne riconquistino «libertà e possibilità che questa società ci ha tolto, facendoci credere in modo sotterraneo che certe cose non le possiamo fare. Non è così».





