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La curiosa storia delle ceneri di Pirandello

Tra i materiali rinvenuti dopo la morte di Luigi Pirandello compare anche un testamento non datato, in cui l’autore illustra le ultime volontà da rispettare, facendo capire di aver vissuto ogni cosa, dunque anche la morte, con la massima serietà, senza mai cadere nel patetico. «Sia lasciata passare in silenzio la mia morte. Agli amici, ai nemici preghiera non che di parlarne sui giornali, ma di non farne pur cenno. Né annunzi né partecipazioni. Morto, non mi si vesta. Mi s’avvolga, nudo, in un lenzuolo. E niente fiori sul letto e nessun cero acceso. Carro d’infima classe, quello dei poveri. Nudo. E nessuno m’accompagni, né parenti, né amici. Il carro, il cavallo, il cocchiere e basta. Bruciatemi. E il mio corpo appena arso, sia lasciato disperdere; perché niente, neppure la cenere, vorrei avanzasse di me. Ma se questo non si può fare sia l’urna cineraria portata in Sicilia e murata in qualche rozza pietra nella campagna di Girgenti, dove nacqui», si leggeva su un comune foglietto.

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La curiosa storia delle ceneri di Pirandello

Le ultime disposizioni di Pirandello vennero rispettare quasi alla lettera. Due giorni dopo la sua scomparsa, a seguito di una polmonite, un umile carro trasportò il suo corpo fino al forno crematorio. Volontà quella dello scrittore che fece infuriare il regime, che avrebbe voluto tributargli una solenne cerimonia fascista. Nessuno però disperse le sue ceneri, che per un decennio vennero raccolte in un’urna lasciata al Cimitero del Verano, a Roma. Nel ’47 quel che restava di Pirandello venne spostato in un vaso greco del V secolo A.C., acquistato anni prima dall’autore, che venne portato ad Agrigento. Ma come mai? È una storia alquanto curiosa: come scrive su «La Nuova Bussola Quotidiana» lo studioso Giovanni Fighera la vicenda delle ceneri di Pirandello è degna di un’opera teatrale.

Il testamento non datato dello scrittore siciliano

Il sindaco di Girgenti, divenuta nel frattempo Agrigento, Giovanni Lauricella, rivendicò per la propria città le ceneri di Pirandello. La richiesta finì nelle mani del ministro della Pubblica Istruzione, Guido Gonella, che manifestò il suo disappunto. Venne coinvolto il professor Gaspare Ambrosini, appena eletto alla Costituente, che ottenne l’autorizzazione alla traslazione della salma da Alcide De Gasperi. E fu proprio Ambrosini che si offrì di accompagnare le ceneri di Pirandello, in accordo col figlio Stefano. De Gasperi ottenne dal Comando militare alleato un aereo militare da trasporto delle Air Forces. Poco prima del decollo dieci siciliani chiesero di poter salire a bordo dell’aereo per far ritorno a casa, ma quando scoprirono che il velivolo portava le ceneri del Premio Nobel, vollero scendere. Il motivo? Il gruppetto temeva che si compisse quel giorno quanto lo scrittore desiderava: «Pirandello, quello che aveva chiesto che le sue ceneri fossero disperse al vento? Non è che il destino ha stabilito di accontentarlo proprio oggi?», la battuta di un passeggero. Come spesso accade, la paura si trasmise come un raffreddore e i piloti decisero di non decollare, mettendo come scusa un motore non funzionante.

Il vaso greco con le ceneri di Pirandello

Il professore Ambrosini non si diede per vinto, partì col treno in compagnia del vaso greco posto dentro una cassa. Durante il viaggio però questi si addormentò e ritrovò la cassa solo più tardi in un altro vagone: la stavano utilizzando come tavolo per giocare a carte. Il vescovo Peruzzo acconsentì a benedire il vaso greco, purché venisse collocato in una bara cristiana. Non essendoci bare pronte ad Agrigento, si optò per una piccola bara bianca per bambini, entro cui però la cassa non entrava. I presenti decisero allora di tirar fuori il vaso, collocandolo nella bara vuota, che ricevette quelle solenni esequie cristiane, non richieste dall’autore nel testamento. Il vaso greco con le ceneri venne collocato nella casa d’origine di Pirandello, in attesa che fosse ultimato il monumento funebre nella località Caos. Ci vollero quindici anni perché fosse pronto: era il 1961. Il dottor Zirretta, direttore del Museo Comunale di Agrigento, incaricato del travaso, estrasse a fatica le ceneri che non potevano essere contenute interamente nel piccolo cilindro di alluminio. Le rimanenti vennero sparse forse per un colpo di vento o per distrazione di Zirretta: almeno in parte si riuscì ad accontentare quanto aveva disposto Pirandello. A chi volesse approfondire suggeriamo la lettura de La pirandelliana storia delle ceneri di Pirandello.

Il monumento funebre nella località di Caos

Il giornalista Ermogene La Foreste dissente sulle ultime tappe dell’odissea delle ceneri qui raccontata: «Le ceneri, quando ci si accorse che non era possibile collocarle, per mancanza di spazio, nell’urna, nella notte precedente all’inaugurazione, ne venne costruita un’altra, dallo stesso tecnico Bruno Arezzo della Soprintendenza. La collocazione avvenne al chiuso e venne saldata. Nessun vento avrebbe, quindi, potuto portare via le ceneri», scrisse in una lettera all’amico Dante Bernini, sovrintendente per i Beni Artistici e Storici di Roma. Una versione troppo romanzata la prima? Relativismo pirandelliano, è proprio il caso di dirlo. Il lettore creda a ciò che vuole.