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Perché “In altre parole” di Jhumpa Lahiri è una dichiarazione d’amore alla lingua italiana

«Voglio attraversare un piccolo lago. È veramente piccolo, eppure l’altra sponda mi sembra troppo distante, oltre le mie capacità. (…) Di mattina osservo quelli che vengono al lago con me. Vedo come lo attraversano in maniera disinvolta e rilassata, (…) conto le loro bracciate. Li invidio. (…) Per vent’anni ho studiato la lingua italiana come se nuotassi lungo i bordi di quel lago. Sempre accanto alla mia lingua dominante, l’inglese. Studiando una lingua straniera in questo modo, non si può affogare. L’altra lingua è sempre lì per sostenerti, per salvarti. (…) Ma per conoscere una nuova lingua, per immergersi, si deve lasciare l’altra sponda. Senza salvagente. Senza poter contare sulla terraferma». Così Jhumpa Lahiri, scrittrice di fama internazionale, vincitrice di riconoscimenti come Il Premio Pulitzer, Pen/Hemingway Award e il Frank O’Connor International Short Story Award, e membro dell’American Academy of Art and Letters, racconta il suo primo approccio – e non a caso uso questo termine – con la lingua italiana. «In altre parole», come si legge nella quarta di copertina, è la «storia di un colpo di fulmine, di un lungo corteggiamento, di una passione profonda: quella di una scrittrice per una lingua straniera». 

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Perché “In altre parole” di Jhumpa Lahiri è un’autentica dichiarazione d’amore all’italiano

Il saggio scritto dall’autrice, celebre soprattutto per il romanzo La moglie, segna anche un esordio: si tratta, infatti, del primo libro suo pensato e scritto in italiano. Proprio lei, di madrelingua bengalese, che, vivendo in America, ha sempre parlato e scritto in inglese. «In altre parole», nato nell’autunno del 2012, in modo privato, frammentato, spontaneo, non è soltanto un diario di appunti. È autobiografico, ma va oltre. Dentro ci sono le vicissitudini di Jhumpa Lahiri, che vediamo dapprima neolaureata, che sceglie di visitare per qualche giorno Firenze, poi timida protagonista di convegni, festival e presentazioni a Mantova, Milano e Venezia, e in ultimo alle prese con un trasferimento nella capitale, che durerà oltre un anno. I suoi tentativi di apprendere una lingua meravigliosa quanto complicata come l’italiano, i tanti fallimenti e i piccoli traguardi ci proiettano in un viaggio pieno di poesia. È un libro commovente a tratti, ricco, che mira a soddisfare l’irrefrenabile impulso che accomuna scrittori, insegnanti, giornalisti, blogger e linguisti: scovare la parola giusta.

«Ogni frase che scrivo in italiano è un piccolo ponte da costruire, poi da attraversare. Lo faccio con titubanza mista a un impulso persistente, inspiegabile».

Chi legge spera che l’autrice guadagni terreno, che si riduca quella «distanza che ci separa dall’oggetto del desiderio»

Le incertezze rendono Jhumpa Lahiri ancora più cara a chi legge; così la lettura del libro scorre svelta, nella speranza che l’autrice guadagni terreno, impari a parlare una lingua non materna, ma voluta, e che riduca dunque il divario tra lei e l’italiano stesso, che è poi «quella distanza che ci separa dall’oggetto del desiderio». Perché con lei soffriamo e in più occasioni: quando le lezioni private si rivelano inutili, quando con fatica non riesce ad usare l’imperfetto al momento opportuno, quando per strada un po’ per i suoi tratti somatici, un po’ per l’accento che la tradisce, viene ancora vista, nonostante la lunga permanenza in Italia, come una straniera. «Ho ormai un vocabolario ampio, ma rimane qualcosa di strampalato. Mi sento vestita in modo strambo, come se portassi una lunga gonna elegante di un’altra epoca, una maglietta sportiva, un cappello di paglia e un paio di ciabatte. Questo effetto sgraziato, questi toni scombinati potrebbero essere la conseguenza della distanza, fin dall’inizio, tra me e l’italiano. (…) Mi sento a volte come una bambina che si intrufola nell’armadio della madre per mettersi le scarpe coi tacchi, un vestito da sera, gioielli preziosi, una pelliccia», si legge ad un certo punto.

«In altre parole» di Jhumpa Lahiri è un esempio di mirabile tenacia

Perché l’italiano le sembra un amante difficile da capire, volubile diremo noi, pieno di eccezioni e verbi irregolari, troppo grande persino per lei che in America era ed è un’affermata scrittrice. Tuttavia, Jhumpa Lahiri non si perde d’animo e anche qui sta la bellezza, perché In altre parole è un esempio di mirabile tenacia. L’autrice continua le lezioni private, fino alle prime collaborazioni con l’“Internazionale”, la rivista che, tra l’altro, ha pubblicato a puntate questo medesimo libro. Con l’aiuto di editor, amici italiani, di libri di autori, quali Calvino, Ungaretti, Pavese, che le erano stati regalati dalla sua adorata insegnante di Brooklyn, originaria di Venezia, a cui continua a dare del lei pur volendole un bene dell’anima, Jhumpa Lahiri riesce a realizzare il suo intento, abbattendo un muro che le sembrava troppo alto. L’italiano, quella lingua che le sembrava familiare, sin dal primo soggiorno in Toscana, diventa la sua terza lingua; una vera e meritata conquista.

Un libro destinato a chi riconosce la bellezza dell’italiano

In altre parole è un testo autentico, sincero, onesto, destinato non solo a quanti riconoscono la bellezza dell’italiano, ma a tutti coloro che vogliono accostarsi più genericamente ad una nuova lingua. Che poi ci faccia a sentire fortunati di essere italiani è un’altra storia. Non so nemmeno io cosa mi aspettassi da questo libro, so soltanto di averlo amato molto. A noi un regalo più bello quest’autrice, che nel 2023 ha ricevuto una Laurea Honoris Causa dal The American University of Rome, «in riconoscimento del suo straordinario contributo alla letteratura in inglese e in italiano», non potesse proprio farlo.

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