Novant’anni fa venne conferito a Luigi Pirandello il Premio Nobel per la Letteratura. Era l’8 novembre del 1934 quando a Stoccolma il drammaturgo ricevette il riconoscimento più prestigioso per chi lavora in ambito artistico. La motivazione del premio fu «per il suo audace e ingegnoso rilancio dell’arte drammatica e scenica». All’epoca Pirandello aveva già scritto l’opera sua forse più famosa “Sei personaggi in cerca d’autore”. Aveva 67 anni e sarebbe morto due anni dopo, il 10 dicembre del 1936. Nonostante Pirandello fosse entrato nel Partito Fascista nel 1924, chiedendo la tessera a Benito Mussolini attraverso un telegramma, che venne pubblicato il 19 settembre dello stesso anno su “L’impero”, il suo rapporto con il partito non fu mai del tutto sereno: lo scrittore ebbe numerosi scontri con diversi gerarchi e altre figure del regime, come il poeta vate Gabriele d’Annunzio.
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I 90 anni del Nobel di Luigi Pirandello
E pensare che nei primi anni della sua vita romana Luigi Pirandello era solito frequentare poco il teatro, che in seguito diventerà una delle sue più grandi passioni. Nella capitale arrivò per la prima volta nel 1886 per restarci giusto due anni. A seguire partì per la Germania, dove si laureò all’Università di Bonn in Lettere e Filosofia. Il ritorno a Roma nel 1891, come racconta lui stesso in una lettera dell’ottobre del 1924, in cui descrive la sua monotona routine: «Non esco che per poche ore soltanto sul far della sera, per fare un po’ di moto e m’accompagno se mi capita con qualche amico (…) Non vado che rarissimamente a teatro. Alle 10, ogni sera, sono a letto. Mi levo la mattina per tempo e lavoro abitualmente fino alle 12. Il dopo pranzo di solito mi rimetto a tavolino alle due e mezza, e sto fino alla 5 e mezza, ma dopo le ore della mattina non scrivo più, se non per qualche urgente necessità; piuttosto lego o studio. La sera, dopo cena, sto un po’ a conversare con la mia famigliola, leggo i titoli degli articoli e le rubriche di qualche giornale, e a letto».

Una visione pessimistica della vita
E in quella stessa missiva l’autore de «Il fu Mattia Pascal» mostra di avere una visione pessimistica della vita: «Non c’è niente che meriti di essere rilevato; è tutta interiore, nel mio lavoro e nei miei pensieri che… non sono lieti». E ancora: «Io penso che la vita è una molto triste buffoneria, poiché abbiamo in noi, senza poter sapere né come né perché né da chi, la necessità di ingannare di continuo noi stessi con la spontanea creazione di una realtà (una per ciascuno e non mai la stessa per tutti), la quale di tratto in tratto si scopre vana e illusoria». Luigi Pirandello è stato un autore rivoluzionario, geniale, che ha saputo raccontare la solitudine, l’incomunicabilità, il relativismo e l’impossibilità di conoscere la verità, il rapporto tra apparenza e realtà, tra maschere e volto.
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