Negli ultimi anni, la distanza tra i giovani e la politica è diventata sempre più evidente. Elezioni con un’affluenza bassa tra gli under 30, sfiducia verso i partiti tradizionali, e un crescente senso di impotenza di fronte alle decisioni pubbliche raccontano una generazione che si sente esclusa dai processi politici e spesso disillusa dal loro funzionamento.
Ma da dove nasce questa frattura? E cosa si nasconde dietro l’apparente disinteresse dei giovani per la politica?
Un dato che parla chiaro
Secondo un’indagine dell’Istituto Toniolo del 2024, solo il 24% dei giovani italiani tra i 18 e i 30 anni dichiara di avere fiducia nei partiti politici, e appena il 32% crede che il voto possa davvero influenzare le decisioni del Paese.
Allo stesso tempo, quasi il 70% dei ragazzi si informa regolarmente su temi sociali, ambientali o di giustizia economica. Questo significa che i giovani non sono apatici o indifferenti, ma piuttosto delusi da una politica percepita come distante, inefficace e autoreferenziale.

La politica percepita come “un altro mondo”
Molti giovani avvertono che la politica tradizionale non parla la loro lingua. Le istituzioni e i partiti spesso appaiono come ambienti chiusi, dominati da logiche di potere e da figure considerate lontane dalla realtà quotidiana.
La comunicazione politica tende a privilegiare il conflitto e la polemica, più che il dialogo e la proposta. Nei talk show e sui social, il dibattito pubblico si riduce spesso a slogan e accuse reciproche.
Per chi è cresciuto in un mondo connesso, abituato alla partecipazione orizzontale e immediata, la lentezza e l’opacità delle istituzioni appaiono scoraggianti. Il risultato è una generazione che si sente fuori dal sistema, più che dentro di esso.
Crisi economiche e precarietà: la politica che non dà risposte
A questo si aggiunge un fattore materiale: la precarietà economica.
Le nuove generazioni hanno vissuto due crisi globali in meno di quindici anni — quella del 2008 e quella del post-pandemia — e si trovano oggi a fare i conti con un mercato del lavoro incerto, stipendi bassi e difficoltà ad accedere alla casa o ai servizi essenziali.
In questo contesto, la politica viene percepita come incapace di garantire futuro e stabilità. I grandi temi del dibattito — pensioni, fisco, burocrazia — sembrano appartenere a un’altra epoca, mentre mancano risposte concrete su scuola, ambiente, innovazione e pari opportunità.
Per molti giovani, la politica non rappresenta più uno strumento di cambiamento, ma un meccanismo che perpetua lo status quo.
Il ruolo dei social network: tra informazione e disillusione
I social media sono oggi il principale canale di informazione per gli under 30. Se da un lato offrono un accesso diretto e rapido alle notizie, dall’altro hanno cambiato il modo in cui si percepisce la politica.
Su piattaforme come Instagram o TikTok, la politica è spesso ridotta a frammenti di contenuto, a slogan brevi o a meme virali. Questo linguaggio può avvicinare, ma anche banalizzare.
Inoltre, l’iperconnessione espone i giovani a una sovrabbondanza di informazioni spesso contraddittorie, generando confusione e scetticismo. L’impressione che “tutti mentano” o che “tanto non cambia nulla” si diffonde facilmente, alimentando un circolo vizioso di disillusione.
Nuove forme di partecipazione: oltre i partiti
Eppure, se la fiducia nei partiti crolla, cresce l’impegno in altre forme di partecipazione.
Molti giovani scelgono di esprimere il proprio impegno attraverso associazioni, volontariato, movimenti ambientalisti o iniziative di cittadinanza attiva.
Le mobilitazioni per il clima, nate con Fridays for Future, o le campagne contro la violenza di genere, dimostrano che i giovani credono ancora nella possibilità di cambiare le cose, ma preferiscono farlo al di fuori dei canali politici tradizionali.
È un modo diverso di intendere la politica: non più come appartenenza ideologica, ma come azione concreta e collettiva su temi specifici.
L’effetto “sfiducia istituzionale”
La disillusione politica dei giovani non è solo italiana: è un fenomeno diffuso in tutta Europa e in molti Paesi occidentali.
La crescente sfiducia nelle istituzioni democratiche nasce da scandali di corruzione, inefficienza amministrativa, promesse non mantenute. Quando la politica sembra più interessata alla sopravvivenza di se stessa che al bene comune, è naturale che le nuove generazioni si allontanino.
In molti casi, però, questa distanza non è indifferenza, ma autotutela: un rifiuto verso un sistema percepito come ingiusto o irriformabile.

Giovani e politica: un problema di rappresentanza
Un altro nodo cruciale è la mancanza di rappresentanza reale.
I giovani sono spesso esclusi dai luoghi in cui si prendono le decisioni. L’età media dei parlamentari italiani supera i 50 anni, e le politiche giovanili rappresentano una parte marginale dei programmi elettorali.
Senza figure di riferimento che parlino la loro lingua e condividano le loro esperienze, è difficile sentirsi parte di un progetto comune. La sensazione è quella di essere spettatori e non protagonisti del proprio futuro.
Cosa serve per ricucire il legame
Ricostruire la fiducia tra giovani e politica richiede un cambiamento profondo, non solo di linguaggio ma di atteggiamento e visione.
Occorre restituire credibilità alle istituzioni, investendo in trasparenza, partecipazione e ascolto. I giovani devono poter contare su spazi di confronto reali, non solo virtuali, e su politiche che affrontino le loro priorità: ambiente, lavoro dignitoso, istruzione accessibile, equità sociale.
Servono anche nuovi strumenti di democrazia partecipativa, come bilanci civici, referendum digitali e percorsi di co-decisione che rendano la politica un’esperienza condivisa, non distante.
Una generazione non disinteressata, ma in attesa
La disillusione dei giovani verso la politica non è un vuoto, ma un segnale di cambiamento.
Dietro l’apparente apatia si nasconde il desiderio di una politica più autentica, meno di facciata e più orientata al futuro.
I giovani non hanno smesso di credere nella partecipazione, ma chiedono nuove forme di fiducia, più concrete e sincere.
Forse la domanda giusta non è perché i giovani non credono più nella politica, ma che tipo di politica siamo disposti a costruire per credere di nuovo in loro.
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