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David Grossman: “Ai bambini di Gaza serve speranza nel futuro. Ridargliela un dovere”

È una voce che scava, quella di David Grossman. Non urla, non semplifica, ma affonda. E quando prende la parola, anche nei giorni più confusi, si impone come un punto fermo. Lo ha fatto ancora una volta in un’intervista rilasciata a la Repubblica. Lo scrittore israeliano — da anni simbolo del dialogo e della pace — ha lanciato un accorato appello che attraversa i confini, le appartenenze, le ideologie: “Ai bambini di Gaza serve speranza nel futuro. Ridargliela è nostro dovere.”

Non è solo una dichiarazione. È un’accusa implicita, un richiamo etico, una domanda che pesa come una condanna. A pagare il prezzo della guerra, ricorda David Grossman, sono soprattutto i più piccoli, i più indifesi, quelli che di questa guerra non portano alcuna colpa. “Che ne sarà di una generazione cresciuta conoscendo solo paura, vendetta e distruzione? Come si fa a parlare di futuro, quando l’infanzia viene cancellata?”, l’interrogativo che agita lo scrittore.

Grossman non fa sconti nemmeno alla sua parte. Parla da cittadino israeliano, da padre, da uomo di cultura che ha conosciuto il dolore personale della guerra — suo figlio Uri è morto durante il conflitto in Libano del 2006. La sua voce non è neutra: è attraversata dalla sofferenza, ma anche da una lucidità spietata. “Noi israeliani stiamo pagando un prezzo altissimo, ma anche i palestinesi stanno vivendo un trauma indicibile. Se pensiamo che basti annientare Hamas per tornare alla normalità, ci stiamo illudendo”, ha evidenziato. E allora, che fare? Per Grossman non si tratta solo di cessare il fuoco — anche se quello resta il primo passo. Si tratta di ricostruire ciò che è stato spezzato dentro le persone, nei legami, nella fiducia. E soprattutto nei bambini. È per loro che parla, con insistenza, come se volesse sottrarli alla logica del bilancio bellico, alla contabilità dei morti e dei vivi.

“Dopo ogni guerra si contano i danni materiali e le vite spezzate. Ma quasi mai ci si chiede cosa resta nella coscienza collettiva. Nei sogni dei bambini. Nell’idea che hanno dell’altro”, ha sottolineato lo scrittore. Nel suo appello c’è anche un’accusa implicita alla politica — non solo quella israeliana o palestinese, ma anche quella internazionale, incapace di fare pressione vera, di spostare l’asse del discorso dalla vendetta alla convivenza. Nel momento in cui le parole sembrano perdere valore, e le diplomazie annaspano in un lessico spento, Grossman ricorda che le parole possono ancora salvare. A patto che si abbia il coraggio di pronunciarle con onestà.

Non a caso, chiude l’intervista evocando una responsabilità che non può essere scaricata su altri: “Non basta desiderare la pace. Bisogna educare alla pace. E questo significa educare alla speranza. Ai bambini di Gaza dobbiamo almeno questo: la possibilità di immaginare un futuro che non sia fatto solo di rovine.”Un dovere, sì. Ma anche una possibilità. Se solo qualcuno fosse disposto ad ascoltare. Eh sì, accanto alla rabbia e al dolore per quello che sta accadendo nella Striscia di Gaza si è insinuata la speranza. Quest’ultima ha preso la forma di “Le avventure di Itamar”, libro di racconti per bambini che prenderà vita sul palco del Teatro alla Scala di Milano sotto forma di due operine che il compositore Andrea Basevi ha scritto partendo dal testo.

Cosa augurerebbe a un bimbo che si affaccia oggi al mondo? «Di essere felice. Di vivere una vita senza paura. Di avere un futuro e un futuro diverso dal presente che stiamo vivendo noi: dove ci sia gioia. So che posso suonare ingenuo, ma sarà la realtà a insegnare ai bambini le cose brutte: a noi – nonni e genitori – spetta essere messaggeri di speranza. Anche contro la realtà che ci circonda, anche contro l’odio che la guerra crea nei cuori. È nostro dovere ricordare ai bambini che guerra e odio non sono l’unica opzione, che popoli che si sono combattuti per anni ora vivono in pace e si scontrano solo sui campi di calcio», ha detto con dolcezza David Grossman.