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Chi era Vivienne Westwood, la stilista madrina del punk morta a 81 anni

“Il mondo ha bisogno di persone come Vivienne per cambiare in meglio”. Termina così il comunicato, via Instagram, con cui il suo team ha annunciato la morte di Vivienne Westwood, scomparsa il 29 dicembre 2022 a Clapham, Londra, all’età di 81 anni, “in pace e circondata dalla sua famiglia”.

Vivienne è una delle poche persone di cui si può dire che, in effetti, ha cambiato il mondo e non solo quello della moda. Non si accontentava di essere, per il grande pubblico, la madrina del punk. Durante i cinquant’anni della sua folgorante carriera, Westwood fu una pioniera nel creare una moda femminista. Soprattutto fu una delle prime a guardare in faccia la sostenibilità e a denunciare pubblicamente gli effetti devastanti che l’industria della moda genera sul pianeta.

Nata in una famiglia della classe operaia, Vivienne Westwood iniziò con un corso di design di gioielli all’età di sedici anni, che dovette abbandonare perché non poteva permetterselo. Quando sposò Derek Westwood, a 21 anni, lavorava come insegnante di scuola elementare ma ha disegnato il suo abito da sposa.

Non era comune per una donna gestire un’azienda di moda alla fine degli anni ’60, tanto meno una donna nata in una famiglia con risorse limitate. Ma Vivienne era nel posto giusto al momento giusto: Londra a cavallo del decennio, dagli anni Sessanta agli anni Settanta, una città che allora era quasi un laboratorio di idee, di idee che peraltro arrivavano dalla strada. Così, quando ha incontrato Malcolm McLaren, un giovane legato alla politica, alla musica e all’intellighenzia locale, ha lasciato il marito e si è imbarcata in un’avventura che ora è la storia della moda.

Malcom McLaren e Vivienne Westwood in uno scatto che ha fatto storia

Nel 1971, Vivienne Westwood e Malcom McLaren crearono “Let it rock”, un piccolo locale su King’s road dove Malcom riparava dischi e la Vivienne ridava vita a vestiti di seconda mano. A poco a poco, le idee del movimento situazionista, di cui entrambi erano seguaci, furono integrate nei loro disegni provocatori. Fu allora che l’abbigliamento vittoriano, l’estetica bondage o gli slogan nichilisti cominciarono a insinuarsi nelle creazioni di Westwood quasi sempre su abiti già usati. Quando ribattezzarono la loro piccola bottega “Sex”, il negozio da cui ha avuto origine l’estetica punk, la coppia aveva già vestito (sempre per creare polemiche) band come i New York Dolls e Chrissie Hynde, poi cantante dei The Pretenders, aveva servito il pubblico dal bancone.

Quando Mclaren contribuì a far nascere i Sex Pistols, nel 1975, Westwood aveva già disegnato gli abiti per The Rocky Horror Picture Show e, cosa forse più importante, aveva vestito i giovani londinesi che si incontravano nella periferia di Soho e che poi avrebbero avuto il loro posto nella storia: si chiamavano Il Bromley Contingent ed era composto, tra gli altri, da Siouxsie Sioux, Viv Albertine, Billy Idol o Sooo Catwoman.

Westwood vendeva loro (o quasi sempre regalava) abiti del tutto innovativi; rotti, trasparenti, logori e pieni di gadget che, fino ad allora, non erano visti come accessori. Dalle spille da balia ai tappi di bottiglia, il banale e, soprattutto, il brutto, cominciarono a essere presi in considerazione grazie a lei. Per la prima volta la moda cercava qualcosa che andava ben oltre la mera esaltazione della bellezza o il privilegio delle donne secondo i canoni del momento. La moda, con Westwood, diventa uno strumento attraverso il quale esprimere rabbia e sentimento nichilista.

“L’unico motivo per cui lavoro nella moda è porre fine al conformismo”, disse una volta. Ecco perché Vivienne Westwood non si è accontentata, poi, nemmeno del punk. L’intensità ideologica ed estetica del movimento non poteva durare a lungo, ma Westwood trovò altri modi per rimanere punk fino alla fine. La prima sfilata internazionale che ha creato insieme a McLaren, “Pirata”, nel 1980, conteneva già scarti usati e indumenti di seconda mano riutilizzati, molto prima che se ne parlasse e molto prima che l’industria lo prendesse come pratica standard.

Quando fioriva il movimento New Romantic, cioè quando decine di giovani britannici indossavano abiti storici per oltrepassare la barriera dell’identità di genere, Westwood era lì, traendo ispirazione dai pirati, dall’epoca vittoriana, dalle streghe. Nella sua collezione del 1987, già separata da McLaren, osò disegnare corsetti per sovvertirne il significato. Il pezzo più opprimente è diventato, sotto la sua mano, una sorta di manifesto ‘punk’ e persino femminista.

E dopo McLaren per Vivienne arrivò l’incontro con Andreas Kronthaler, che sposò nel 1992, e che da allora è parte attiva del brand. Lui stesso ha dichiarato via Twitter che raccoglierà la sua pesante eredità. Insieme, negli ultimi tempi, hanno continuato a denunciare diversi problemi sociali. Nel 2014, uno dei loro figli, Ben Westwood (l’altro figlio, Joseph Carré, frutto della sua relazione con Malcolm McClaren, è stato il fondatore del marchio di lingerie Agent Provocateur ) ha orchestrato una sfilata di moda presso l’ambasciata ecuadoriana a Londra per Julien Assange, come modello di punta. 

Vivienne in quell’occasione ha iniziato a commercializzare la t-shirt con lo slogan ‘I am Julien Assange’, ma ne stava già vendendo altre sul suo sito web che invitavano all’azione contro il cambiamento climatico, la sua ossessione per vent’anni. Tutte le sue sfilate, quasi sempre a Parigi, rivendicavano un cambio di paradigma nel settore e tutti i suoi vestiti erano fatti di scarto. Vivienne Westwood mancherà molto a questo mondo sempre più omologato e conformista. (foto da Wikipedia e da altre fonti aperte).