Alessandro Baricco è il vincitore del Premio Speciale 2024 del Lattes Grinzane. Il 12 ottobre alle 17 ha tenuto una lectio nel Teatro Sociale di Alba. Una sintesi di tutto ciò che lui ha imparato nella sua lunga carriera costellata di successi e di quel che viene insegnato ai ragazzi della Scuola Holden che proprio in questi giorni ha festeggiato i trent’anni di età. A tal proposito al «Corriere della Sera» giorni fa Baricco aveva detto: «Tutti dobbiamo esserne orgogliosi, non ha perso forza visionaria, continua a essere una mezz’oretta davanti agli altri. A Torino abbiamo dimostrato la forza di un privato che ha sempre proposto una storia diversa e ha dimostrato che si può fare cultura senza perdere soldi, in modo indipendente e di qualità. La Holden ha anche cambiato in molti versi il quartiere in cui ha sede dal 2013, Borgo Dora. Non siamo più la scuola dei fighetti, ci siamo sciolti nel terreno di un pezzo di città. È una bellissima cosa».
Alessandro Baricco: scrivere è una preghiera laica
«Io penso che la scrittura sia una forma di meditazione. Direi addirittura, in senso laico, di preghiera», ha detto Alessandro Baricco durante la lezione magistrale al Teatro Sociale di Alba. L’autore di “Oceano Mare” ha poi spiegato: «Narrare significa prendere la vibrazione di un fatto che improvvisamente ci è apparso di fronte, un particolare che ha rotto la nostra quotidianità. Narrarlo significa cercare di renderlo eterno, consentire a quella vibrazione di superare i limiti del tempo in cui il fatto è accaduto per consegnare quell’attimo alle generazioni future. Un libro è per sempre, sopravvive a chi lo scrive. Ci penso quando vedo nel caos di una metropolitana le persone leggere libri scritti cento o duecento anni fa. In quel momento per loro non c’è altro che il racconto di chi ha scritto il libro». Baricco ha però confessato: «Da giovane non ho mai pensato di diventare uno scrittore, di scrivere libri. Pensavo però di narrare, in qualsiasi forma, i fatti, le cose che mi colpivano. Mi dicevo: io racconterò storie».
Gli attrezzi del narratore e l’importanza della scrittura
Tra tutti gli attrezzi del narratore quello più importante è forse la capacità di trasmettere intensità: «Tecnicamente i Maneskin non sono dei virtuosi della musica. Ma la loro intensità è quella che vince su tutto. Viviamo in un mondo in cui la qualità è importante ma non decisiva. È invece decisiva l’intensità con cui una musica, un testo scritto, ci arrivano addosso, ci coinvolgono. Jovanotti mi raccontava che la sua prima canzone era di un solo accordo. Non per scelta ma perché, mi ha spiegato, allora non ne conosceva altri. Ma la sua intensità è quella che lo ha imposto, che ne ha decretato il successo». Baricco non saprebbe immaginare la sua esistenza senza la scrittura: «Ho scritto molti romanzi nella mia vita. Potrei anche smetterla lì e ogni tanto me lo dico. Ma non lo faccio, continuo a scrivere perché ne sento la necessità, questa è la verità. La scrittura è una via, verrebbe da dire un Tao, una strada per arrivare al cuore del creato e anche di sé stessi. Scrivere serve anche a trovare l’equilibrio che ti fa stare bene. Non smetto di scrivere perché scrivere è la mia forma prediletta di meditazione. Un modo per chiudere tutto ciò che sta intorno e focalizzarmi sulla testiera del computer a cercare le parole».
«I cervelli migliori non lavorano forse né per la politica culturale, né per la politica in senso stretto»
Anche al «Corriere della Sera», lo dicevamo, Alessandro Baricco aveva parlato del rapporto letteratura-tecnologia: chi lavora nella comunicazione deve stare in allerta perché il nostro è un mondo che cambia velocemente. «Io guardo all’Italia, ma anche al contesto più ampio delle democrazie europee e delle loro strategie nella politica culturale. C’è stata una grande crescita nel corso degli anni, seguita da una caduta dei cittadini in una sorta di palude culturale. Oggi la grande sfida è coniugare il mondo che conoscevamo con la cultura digitale. Una sfida di non facile soluzione, anche perché oggi i cervelli migliori non lavorano forse né per la politica culturale, né per la politica in senso stretto. E non solo in Italia: non vedo nessun paese attivo in questo campo in modo specifico. La pandemia ha aiutato a far cadere molte foglie morte, e molte nuove foglie sono sbocciate e hanno prosperato. L’Italia non è messa peggio di molti altri… Certo, il mio Paese mi ha speso deluso, ma rimaniamo brillanti».
Alessandro Baricco: «Novecento lo sento ancora mio»
Ripercorrendo la sua carriera, intervistato da Alessandro Martini e Maurizio Francesconi, Alessandro Baricco, che ha fatto il suo esordio nella narrativa nel 1991 con “Castelli di Rabbia”, ha detto: «Rileggendo i miei primi romanzi mi rendo conto che negli anni è cambiato il mio gusto, e alcune mie frasi allora famose, oggi mi fanno venire l’orticaria. Ma ho rivisto ‘Novecento’ proprio a Torino, nello spettacolo che Gabriele Vacis sta portando in scena con gli studenti del Teatro Stabile. E dopo 30 anni mi soddisfa ancora molto, perché è un testo che fa corpo con me, che sento mio. L’ho scritto in tre settimane e mi porta ancora ricchezza, esperienza, soddisfazioni. È fantastico vedere come sta ancora in piedi. Per altre opere ho lavorato durissimo per anni e non hanno avuto un seguito. Nella mia carriera ho fatto qualche puttanata, ma mi è stata perdonata».





