Se n’è andata nel sonno, a 94 anni, nella sua casa romana. Con lei si spegne una delle attrici più libere e luminose del teatro e del cinema italiani, Adriana Asti, milanese nell’anima ma profondamente europea per stile, vita e vocazione. Tra Roma e Parigi ha attraversato generazioni, incrociando letterati, psicoanalisti, registi e provocatori, sempre fedele a sé stessa e a un’ironia lucida, disarmante, che non l’ha mai abbandonata.
Il suo debutto non fu da palcoscenico ma da fuga: nata il 30 aprile 1931 in una famiglia borghese di Milano che le stava stretta, salì su un treno a 17 anni con Fantasio Piccoli e il suo Carrozzone di Bolzano. Fu lì che Giorgio Strehler la notò, aprendole le porte del Piccolo Teatro, dove apparve per la prima volta in Arlecchino servitore di due padroni. Era l’inizio di un percorso artistico inarrestabile.
Poi arrivò Luchino Visconti, “signore crudele cui si perdonava tutto”, che la lanciò nel 1955 ne Il crogiuolo di Arthur Miller e poi la fece recitare al fianco di Alain Delon, in quella memorabile scena nella lavanderia sui Navigli di Rocco e i suoi fratelli. Con Visconti visse alcune tra le sue più scandalose e splendide avventure teatrali: da Veglia la mia casa, angelo di Wolfe a Vecchi tempi di Harold Pinter, preludio al periodo del “cine-nudismo” che lei stessa ricordava con divertita leggerezza, passando per Caligola di Tinto Brass, Ludwig e persino un’incursione con Luis Buñuel ne Il fantasma della libertà.

Musa, amica, complice: Adriana Asti fu tutto questo per il mondo intellettuale italiano del dopoguerra. Fu la prostituta in Accattone, primo film di Pier Paolo Pasolini, e la zia dolceamara in Prima della rivoluzione di Bernardo Bertolucci, con cui ebbe anche una relazione sentimentale. Si sposò poi con lo scrittore Fabio Mauri, ma il matrimonio durò appena due anni. Rimase invece una costante la sua amicizia con Franca Valeri, grande sodale e compagna di battute e intese profonde, tanto che le due condivisero anche l’esperienza fortunata di Tosca e le altre due.
E non potevano mancare gli intellettuali di penna: il professor Cesare Musatti, padre della psicanalisi italiana, la ebbe per anni sul suo celebre divano e scrisse per lei una commedia. Lo stesso fece Natalia Ginzburg con Ti ho sposato per allegria, che nel 1966 toccò le 200 repliche. Poi arrivò Susan Sontag, che accettò di allestire Come tu mi vuoi, ambiguo testo pirandelliano. Con Giorgio Ferrara, secondo marito e complice in scena, affrontò testi come Danza macabra con la regia di Ronconi, che la volle anche nella Santa Giovanna di Shaw e in un visionario Orlando a New York.
A lungo vissuta a Parigi, Asti fu anche voce teatrale d’oltralpe: portò in scena Cocteau con La voce umana e Il bell’indifferente, adattati da René de Ceccatty, e partecipò alla Ballata della Zerlina di Hermann Broch al Festival di Spoleto. Non meno importante fu la sua attività da doppiatrice, raffinata e colta: diede voce alla Cardinale ne La ragazza con la valigia, ma anche a Spaak, Sassard, Allasio. E poi il Beckett disperato ma grottesco di Giorni felici, messo in scena da Bob Wilson, di cui raccontava con precisione chirurgica il rigore estremo.

Il cinema la ha voluta in ogni sua stagione, da Patroni Griffi a Bolognini, da Ferrara (che la diresse in Un cuore semplice da Flaubert) fino a Marco Tullio Giordana, che le affidò il ruolo toccante della madre in La meglio gioventù. Sembrava una vita frenetica, e lo è stata. Ma raccontata da lei, come nel documentario di Rocco Talucci del 2015, diventava un’affettuosa parata di incontri straordinari, tra una cena noiosa da cui fuggiva fingendo uno svenimento e un party affollato da figure indimenticabili.
Adriana Asti non ha solo recitato: ha attraversato un’epoca irripetibile, diventando testimone ironica e consapevole di quella dolce (e amara) vita italiana. Il suo “sense of humour”, conquistato e affilato nel tempo, era la sua vera rete di protezione. Oggi che non c’è più, resta il ricordo di una presenza elegante, intelligente, libera. E la sua risata, ironica e un po’ sorniona, che sapeva accendere ogni scena.





