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Italia-Moldavia, le ultime parole di Spalletti da ct azzurro

“Purtroppo non sono riuscito a fare la differenza”. È con questa frase che Luciano Spalletti ha di fatto firmato il suo congedo dalla Nazionale italiana. Dopo l’ennesima prestazione incolore degli Azzurri – una vittoria di misura contro la Moldavia che vale qualcosa solo per la classifica – l’ormai ex commissario tecnico ha ammesso, con la lucidità e l’onestà che lo contraddistinguono, di aver fallito.

L’addio con stile (e senza alibi)

“I calciatori? Li ho scelti io. Nessun alibi.” Anche di fronte a un addio amaro, Spalletti non cerca scuse. Si prende la responsabilità fino in fondo. Nessuna polemica, nessun veleno. Solo una punta di delusione – quella sì – per essere stato lasciato solo in conferenza stampa e, a ben vedere, anche dalla squadra. È andato in panchina da esonerato, ma non ha fatto scenate. Il suo è stato un commiato sobrio, rispettoso, forse troppo per il contesto in cui ha dovuto operare.

Contro la Moldavia, una vittoria che non consola

Una partita senza mordente, senza idee, senza anima. Eppure Spalletti si aspettava un piccolo riscatto, almeno simbolico. Un segnale, un gesto di riconoscenza. Nulla. Gli Azzurri sono apparsi ancora una volta logori, svuotati. “Ho mantenuto questo gruppo ma l’ho trovato veramente affaticato dal finale di campionato.” È una delle chiavi di lettura del crollo, ma non basta.

La stanchezza dei giocatori non può essere una scusante

La stanchezza può essere una scusante, ma non può spiegare da sola l’apatia collettiva. Come sottolinea la giornalista Tiziana Alla, c’è qualcosa che va oltre la semplice fatica fisica. Spalletti prova a rispondere con sincerità: “Quando uno fa l’allenatore della Nazionale non può avere alibi perché i giocatori li sceglie lui.” E poi aggiunge: “Ero convinto che potessero darmi quello che mi aspettavo, e per certi versi lo hanno fatto.” Una concessione, ma anche una conferma: il gruppo ha dato quel poco che aveva. Nel passaggio del testimone al futuro ct, Spalletti lascia un’eredità fragile e una verità che brucia:
“I giocatori e l’allenatore devono fare la differenza, purtroppo io non l’ho fatta.” L’entusiasmo è sotto zero, la fiducia ai minimi storici. Eppure, il pubblico di Bari si è fatto sentire, segno che la passione per la maglia azzurra resiste ancora. Ma serve molto di più.

Il caso Acerbi e la gestione degli uomini

Un’altra spina nel fianco dell’avventura di Spalletti è stata la gestione del caso Acerbi. In conferenza stampa, ha fatto chiarezza: “Spero che a quelli che rifiutano la Nazionale ci sia qualcuno che gli dice che in Nazionale non tornano più.” Una frase dura, netta, che richiama a un senso di responsabilità oggi spesso assente. Sul caso specifico: “Ad Acerbi ho chiesto scusa, lui mi ha detto: ‘Mister, se mi dice così è tutto ok’.” Una riconciliazione tardiva, certo, ma sincera. Spalletti spiega di aver puntato su Calafiori, Buongiorno, Leoni. “Acerbi è stato il migliore nel finale di stagione. Ma anche io ero condizionato dalla prospettiva del prossimo Mondiale.”

Spalletti se ne va da solo, ma non da sconfitto

Luciano Spalletti lascia la Nazionale senza alzare la voce. Lo fa a modo suo, con sobrietà e senso del dovere, consapevole di aver deluso ma senza cercare capri espiatori. La sua Italia non ha mai preso davvero forma, ma almeno ha evitato il crollo totale. La vittoria contro la Moldavia – magra, sbiadita, inutile – è il timbro su una parabola mai davvero decollata. Ora la palla passa a chi verrà dopo. E la missione non sarà semplice: non si tratterà solo di convocare nuovi giocatori, ma di restituire alla Nazionale italiana una cosa che sembra smarrita da tempo. L’identità.