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Garlasco, parla l’avvocato di Andrea Sempio

«Impronta? Irrilevante». Battagliero, schietto e decisamente allergico ai giri di parole. Massimo Lovati, 73 anni, decano dei penalisti di Vigevano, ha deciso di spendere la sua esperienza per difendere Andrea Sempio. E lo fa con il tono di chi ha visto tutto, tranne la resa. «A 73 anni mi sono preso a cuore l’assurda vicenda di questo giovane innocente che vorrei salvare», racconta. In squadra con la giovane collega Angela Taccia, Lovati non risparmia critiche a inquirenti e media.

L’impronta sul muro? «Ha scarsissima valenza»

Secondo i consulenti della procura, ci sono 15 punti coincidenti tra un’impronta sulla scena del crimine e quella di Sempio. Ma Lovati contesta radicalmente: «Non sono oracoli di Delfi, sono solo consulenti di parte. Non li conosco, avranno anche i loro titoli, ma io avrò i miei. Ho chiesto al generale Garofano di aiutarmi. Se fossero la santissima Trinità con un’opera di fede potremmo anche crederci, ma non lo sono». Il Dna trovato sotto le unghie di Chiara? «Idem». Lovati ribadisce: «Non credo per partito preso. Come San Tommaso: se non vedo, non credo». Anche la prova del DNA, secondo lui, è viziata da mancanza di contraddittorio. E chiede un nuovo incidente probatorio: «Solo così il giudice potrà nominare un perito super partes e finalmente capiremo qualcosa».

Il mancato interrogatorio di Sempio

«È stato un bene che non sia andato», ha tuonato l’avvocato di Sempio. Non è un rifiuto, spiega il legale, ma una questione di forma: mancava un requisito procedurale. «Se si fosse presentato, lo avrebbero preso alla sprovvista. La Procura non è mia amica: è il mio avversario. Io non ho amici, io faccio la difesa, loro l’accusa».

Lo scontrino e i post su Stasi

«Nulla di falso, tutto irrilevante». Sullo scontrino del parcheggio — a lungo indicato come un alibi falso, Lovati sbotta: «Ne ho trovato uno del 3 marzo 2020 a casa Sempio, nello stesso punto. Allora, anche quel giorno c’è stato un omicidio? O forse tengono gli scontrini?». Quanto agli strani post social, dove Sempio pubblicava un agnello sacrificale il giorno della condanna di Stasi: «Ultronei, depistanti. Il Piccolo Principe con la somiglianza a Stasi? Per favore. Mi danno tanto fastidio, tanto».

Lovati contesta i metodi d’indagine con il tono di chi si sente ignorato: «Quando hanno rifatto le impronte, non mi hanno avvertito. Io sono uno dei due difensori. E cosa fanno? Mi convocano per telefono? È una presa in giro». E ancora: «Domande suggestive alla madre di Sempio che si era astenuta. Un invito a comparire improvviso. Ora dicono che non lo convocheranno più… Insomma, il gioco dev’essere leale». L’assassino? Lui ha detto: «Non è né Stasi né Sempio. È un sicario». Poi la precisazione: «Io un’idea ce l’ho ma non la dico. Non ho prove. Ma per me è stato un sicario. E anche sul mandante ho una mia convinzione. Ma me la tengo».