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Notte lunga a Coverciano: il retroscena dietro all’esonero di Spalletti

«Luciano, così non si può andare avanti». Il presidente federale Gabriele Gravina lo ripete a bassa voce, quasi un lampo nell’oscurità di Coverciano. È la mezzanotte tra sabato e domenica, il ritiro azzurro è già immerso nel silenzio, ma in una stanza ancora illuminata si consuma l’ultimo confronto fra il c.t. e il suo presidente. Da ore i due discutono: prima nello spogliatoio dell’Ullevaal Stadion dopo il disastro contro la Norvegia, poi in volo verso Firenze, infine dal mattino successivo, in bilico tra incredulità e paura di un nuovo fallimento. Lo riferisce «Il Corriere della sera» in un articolo pubblicato poco fa.

L’ora del “ribaltone”

È a quell’ora, mentre i giocatori dormono e Coverciano sembra vuota, che Gravina decide di non aspettare oltre: la panchina deve cambiare. Neppure l’amichevole con la Moldova basterà a salvare l’allenatore. Spalletti vorrebbe resistere, Gravina è irremovibile: la decisione è presa. Parole nette, che preludono all’esonero mascherato da “risoluzione consensuale”: il tecnico di Certaldo andrà via rinunciando all’ultimo anno di stipendio. 

Uscita di scena con dignità (e senza soldi)

Sul campo le cose non hanno funzionato, ma l’addio di Spalletti porta con sé un gesto tutt’altro che scontato: niente liquidazione, niente cause, solo la voglia di dire subito la verità. Il c.t. pretende trasparenza per disinnescare la tensione attorno alla Nazionale e Gravina, per rispetto, gli concede la passerella finale. Nei piani federali l’annuncio sarebbe dovuto arrivare dopo Italia-Moldova; il tecnico, invece, insiste per spiegare di persona – e subito – le ragioni del divorzio. 

Il “silenzio” di Gravina e l’onore delle armi

Così, al Festival della Serie A di Parma, Gravina sceglie il basso profilo: omette la notizia, lascia al suo allenatore il diritto di parola e l’«onore delle armi». Un passaggio che racconta tanto della relazione fra i due: rispetto reciproco, ma divergenza totale su come affrontare la crisi. 

Pressione alle stelle: il rischio tripletta di fallimenti Mondiali

Gravina lo sa bene: dopo un’elezione “bulgara” alla guida della FIGC, un terzo Mondiale mancato di fila vorrebbe dire débâcle personale. Tocca provare qualunque scossa per tenere in vita il sogno del biglietto per USA-Canada-Messico 2026. Cambiare tecnico non risolve i problemi strutturali (pochi talenti, tanta pressione), ma riduce il rumore di fondo e riporta l’attenzione sul campo. 

Cinque gare per reinventarsi prima del duello con la Norvegia

Da settembre al nuovo allenatore – il favorito è Claudio Ranieri, con Stefano Pioli come alternativa – restano cinque partite per riavvicinare la Norvegia prima dello scontro diretto, probabile a Roma a metà novembre. L’obiettivo minimo? Agganciare i nordici almeno nella differenza reti e presentarsi allo spareggio con un filo di speranza. Nessuno promette miracoli, ma serviva un reset emotivo: Spalletti lo ha capito e, rinunciando agli ultimi emolumenti, ha imboccato l’uscita più dignitosa possibile. 

L’eredità di Spalletti e le sfide del nuovo c.t.

L’ormai ex c.t. lascia una Nazionale ferita ma non arresa: lo zoccolo duro di giovane talento c’è, manca però identità e fiducia. Il nuovo selezionatore dovrà ridurre al minimo gli errori (anche quelli da calcio d’angolo, finiti nel mirino dei critici), scegliere gerarchie chiare e, soprattutto, disinnescare la paura di fallire. Una missione complicata, ma indispensabile per evitare che la macchia di un terzo Mondiale mancato diventi indelebile.