«A Belve? Non mi hanno invitato e non ci andrei. Questo programma è disperazione allo stato puro». Così Paolo Crepet, psichiatra e sociologo, che farà tappa giovedì 23 gennaio all’Auditorium di Bolzano, già sold out da un mese, con lo spettacolo-dibattito ispirato dal suo ultimo saggio «Mordere il cielo. Dove sono finite le nostre emozioni», pubblicato da Mondadori. Lo scorso anno a teatro ha totalizzato 75mila presenze, davvero non poco cosa. In un’intervista al «Corriere della Sera» Crepet con humour ha esclamato a tal proposito: «Forse qualcuno ha scoperto che non dicevo delle cazzate. Un illustre giornalista mi chiamava ‘il Taricone della psicanalisi’. Ma le cose sono cambiate, è cambiata la gente. I miei libri hanno un loro successo, così come le serate».

Paolo Crepet sempre controcorrente si racconta:« L’università? Mi hanno fatto fuori gli invidiosi»
«La gente ha bisogno di guide e, dove non le trova, le inventa. C’è bisogno del libretto delle istruzioni per la vita. Però poi le istruzioni sono così semplici e banali che uno si domanda: ma perché non le seguono? Non stiamo parlando di illuminazioni di Einstein», ha affermato Paolo Crepet. Lo psichiatra ha descritto poi tre pilastri per orientarci: «Primo: credere nei bambini e nei ragazzi, quindi lasciarli sbagliare. Oggi c’è una schizofrenia da iper controllo: a scuola c’è il registro digitale, ma alle due di notte non sai dov’è tua figlia tredicenne. La geolocalizzazione ti dice solo che è in quella piazza, ma magari è ubriaca. Secondo: dare l’esempio non è passato di moda. Se i genitori sono sempre sul cellulare, cosa deve pensare un figlio? Terzo: cambiare la scuola davvero, non con tentativi. Quest’ultimo è complicatissimo, ma il ministro qualcosa di buono lo sta facendo, come rintrodurre il 5 in condotta».

La metafora della “cicatrice interiore”
Crepet parla di “eclissi delle emozioni”: «Se va in giro per la città, trovare un ragazzo e una ragazza che si baciano è rarissimo; prima fuori dal liceo ci si dava appuntamento per questo. Vedere due che limonano sotto un portico non esiste più. Abbiamo fatto un baratto: pur di tenerci stretta la nostra comfort zone abbiamo rinunciato alle emozioni. Anche l’amore è visto come una fatica, un impegno». Nel libro usa la metafora della “cicatrice interiore”: «È il dolore che c’è in ognuno di noi. Mia madre è morta giovane ed è stato un dolore incredibile, ma anche un esame che va male o di una ragazza che ti lascia sono “inciampi” e, se non li hai, non hai vissuto. Sono lezioni, momenti di crescita. Anche Sinner ha paura di perdere e ha perso molte volte; per diventare numero uno devi imparare a rivedere la tua strategia», ha spiegato lo psichiatra.

«In Italia il vero intellettuale deve essere bruttino, con l’alito pesante e gli occhiali spessi»
Crepet ha poi confidato: «Mi sono giocato la carriera accademica. Per fortuna, se no avrei fatto il professore universitario e adesso sarei calvo e peserei 150 chili. Quella strada l’ho provata ma me la sono giocata perché c’è invidia: fin da giovane ero noto e questo non te lo perdona nessuno. In Italia il vero intellettuale deve essere bruttino, con l’alito pesante e gli occhiali spessi, sempre incazzato con il mondo. Se c’è uno che si diverte a vivere, quello non è un intellettuale: è un pagliaccio. Devi vivere nei quartieri giusti, andare al mare al posto giusto e io tutto questo non l’ho mai fatto». A proposito della sua carriera il sociologo ha aggiunto: «All’inizio della mia carriera sono stato troppo drastico e forse non ho capito che c’è un’età per tutto. Certe cose me le posso permettere oggi, perché le vedo da una collina più alta che mi consente di allargare la visione sulle cose e di metterci un po’ più di saggezza. Mi rimproverano a volte gli eccessi, l’iperattivismo, e credo che sia una critica giusta anche se alla fine questo ha portato del buono, perché se no oggi sarei uno dei tanti. E poi mi accusano di essere tranchant, di avere spesso posizioni troppo nette: anche quello deve venire con la vita. Io sono nato per avere delle opinioni ma, a una certa età, arrivi a un punto in cui puoi dire la tua».

Paolo Crepet e il commento sul programma “Belve”
Un commento anche sull’AI: «Mi spaventa la vita che farà mia figlia. Di giovani grandi viaggiatori ne conto meno delle dita di una mano. Non gliene frega niente a nessuno che sei andato in Perù: interessa molto di più una che si fa il selfie con la boccuccia a cuoricino. Oggi l’atto artistico è azzerato, a meno che uno consideri arte inzuppare un biscotto nel caffelatte, magari taggando la pasticceria così hai per i prossimi tre mesi il cappuccino gratis». Crepet si è espresso anche sul programma cult “Belve”: «Perché la gente è disperata. Cosa c’è di interessante? Non mi hanno mai invitato e io non ci andrei mai. La Fagnani sarà anche carina, ma è colpa di chi fa il programma che deve cercare la volta in cui sei scivolato sulla buccia di banana: disperazione allo stato puro. E gli adolescenti lo vedono che noi siamo spietati. La televisione trash di cui si parlava anni fa era l’anticamera di questo; adesso è una televisione animalesca, infatti si chiamano “Belve”, “Iene”. Non c’è nulla di umano. Se avessi ospite Giorgia parlerei solo del dolore per la morte del suo fidanzato: quante volte sei morta quando l’hai saputo? Come ti sei tirata su? Chi ti ha raccolta col cucchiaino? Invece qui è come ridurre la vita di Verdi a quando ha lasciato la moglie: sì, è vero, ha lasciato la moglie. E quindi? Cosa toglie al sublime dell’Aida?».





