Con Di madre in figlia (Feltrinelli), Concita De Gregorio torna in libreria con un romanzo che è, insieme, un intreccio di storie familiari, un’indagine sulle eredità invisibili e un confronto tra generazioni che non parlano più la stessa lingua, ma che restano legate da un filo sottile: l’amore, a volte salvifico, a volte tossico. Siamo su un’isola, in una casa isolata in cima a una collina. Lì vive Marilù, figura magnetica e un po’ inquietante, donna libera e sfuggente, cresciuta nella tempesta creativa e ideologica degli anni Settanta. Una che ha conosciuto le utopie, ma che ora si porta addosso il peso della solitudine e di un mistero mai confessato.
Tre donne, tre età della vita
Il romanzo è costruito come un trittico femminile, dove le voci si alternano e si rincorrono. Marilù è la nonna, Angela è la figlia, e Adelaide, che preferisce farsi chiamare Adè, è la nipote adolescente. Il loro incontro, forzato e apparentemente scomodo, avviene nel cuore di un’estate torrida: Angela, oberata da impegni, lascia la figlia alla madre con riluttanza, temendo la sua instabilità e il suo anticonformismo. Adè, nativa digitale, vive con il cellulare in mano e il corpo in conflitto. È spiazzata quando Marilù, come primo atto di rottura, le sequestra il telefono. Ma quel gesto drastico apre una frattura necessaria: tra le due inizia un confronto silenzioso, a tratti doloroso, fatto di piccoli gesti e grandi omissioni.
Un segreto che attraversa le generazioni
C’è qualcosa che Marilù non vuole raccontare. Un segreto che affonda nella sua storia familiare, nella linea materna che parte da una nonna guaritrice finita in convento e passa per una madre farmacista nel Sud rurale. Una storia che parla di donne, di ruoli imposti, di scelte compiute per sopravvivere. E di una colpa antica senza colpevoli, come scrive De Gregorio. Tra dialoghi muti, telefonate ansiose di Angela e passeggiate nei boschi, si compone il ritratto di una genealogia femminile fatta di errori e tentativi, dove ciascuna ha fatto ciò che credeva giusto, spesso con le migliori intenzioni. Ma amare, proteggere, lasciare andare: dov’è il confine?
Una scrittura che risuona vera
Concita De Gregorio, con il suo stile limpido, intenso e riflessivo, porta il lettore dentro una storia di ferite ereditate e guarigioni possibili. Marilù, Angela e Adè sono personaggi vivi, vulnerabili, complessi, capaci di incarnare tre diverse stagioni dell’esistenza. Come spesso accade nei suoi libri, la narrazione è attraversata da domande etiche e affettive, mai urlate, sempre sospese. “Un farmaco è veleno o salvezza. Ogni cura lo è. Anche l’amore”, scrive l’autrice. La questione è sempre la stessa: quanto amore somministrare? E quando?
Perché leggerlo
Di madre in figlia è un romanzo che va letto perché ci riguarda. Parla di legami familiari, di nodi mai sciolti e di ciò che, anche senza volerlo, ci portiamo dentro da chi ci ha preceduti. È una storia che attraversa il tempo e mette a fuoco l’eterno equilibrio tra il bisogno di essere amati e quello di essere lasciati liberi. De Gregorio scrive con l’urgenza di chi vuole capire, ma senza giudicare, e ci invita a fare lo stesso: ad ascoltare, a vedere davvero, a perdonare. È un libro che cura, ma non illude.
Chi è Concita De Gregorio
Nata a Pisa nel 1963, giornalista, scrittrice, ex direttrice de l’Unità, De Gregorio è una delle voci più autorevoli del giornalismo italiano. Ha pubblicato numerosi saggi e romanzi, da Non lavate questo sangue a Malamore, da Mi sa che fuori è primavera a Nella notte. Nel nuovo libro compie un nuovo passo nel territorio ibrido tra memoria, finzione e autobiografia, confermandosi autrice capace di raccontare l’intimità senza mai scivolare nel sentimentalismo. Un romanzo intimo e potente, che esplora la fragilità e la forza dell’essere donne, madri e figlie. E che ci ricorda, una volta di più, che la solitudine può anche essere un rifugio. Una forma di libertà. Una salvezza.





