Daniel Pennac torna in libreria con Il mio assassino, tradotto in italiano come sempre da Yasmina Mélaouah per Feltrinelli. Un volume in parte autobiografico che Gallimard ha definito come il prequel della famosa saga dei Malaussène, il ciclo di otto romanzi che ha accompagnato i lettori per oltre quarant’anni, con più di cinque milioni di copie vendute. Si tratta di un omaggio ad una galleria di persone-personaggi che compongono un universo intimo, in cui la scrittura è «la continuazione dell’amicizia con altri mezzi», ha spiegato lo scrittore in un’intervista a «Repubblica».
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Daniel Pennac torna in libreria con “Il mio assassino”
Come nasce Nonnino, il supercattivo di Capolinea Malaussène? «Ero in un periodo in cui Gallimard mi incalzava perché erano già passati cinque anni dall’uscita de Il caso Malaussène. Nel frattempo avevo avuto voglia di dedicarmi ad altro, a Fellini e ai sogni per esempio, e sinceramente non avevo idea di come sarebbe stato il seguito ormai annunciato dall’editore. Un giorno mi sono messo e bing, è arrivata quella frase. «Allora, Kebir, hai ripulito per bene?». È diventato un golpe letterario. È bastata una frase a creare una necessità romanzesca e installare un personaggio — Nonnino — che ha preso il potere sulle successive quattrocento pagine», ha raccontato Daniel Pennac. «Forse è uno dei personaggi più lontani dal mio universo. Per andare alla genesi di Nonnino ho pensato di raccontare la sua infanzia e il suo primo colpo, quando ha organizzato un autosequestro per incassare un riscatto», ha aggiunto.

Gallimard ha definito il volume come il prequel della famosa saga dei Malaussène
«Il punto comunque è capire come sia potuto scaturire da me un personaggio nerissimo come Nonnino. In parte immagino che sia il disincanto che mi suggerisce la nostra epoca, con dei veri supercattivi che trionfano. Oggi vediamo Trump che è appena stato rieletto alla Casa Bianca. Mi sorprende fino a un certo punto, non ho mai pensato agli Stati Uniti come a una democrazia. È una dittatura dell’individualismo. Lo diceva già Montesquieu: il dramma degli uomini è di essere governati da persone indegne. Questo è il contesto generale ma dentro Nonnino ci sono tante altre influenze, anche più personali», ha spiegato Pennac. Poi la rivelazione: «C’è una cosa che non ho scritto nel libro, e forse aggiungerò nell’edizione tascabile. Da ragazzo ho passato otto anni rinchiuso in collegio. Otto anni di prigione, in cui c’erano dei compagni che provavano a fare i bulli con me. Esattamente come succede ancora oggi a tanti ragazzi. Solo che io non lo sopportavo e menavo chiunque tentasse di umiliarmi fisicamente. Non avevo paura di nulla. Nel mio lungo e disastroso percorso verso la maturità, durato fino a vent’anni, un giorno mi sono svegliato dopo una notte di risse in strada. E mi sono immaginato nei panni di un assassino. Ho pensato: se non mi fermo ora, ucciderò qualcuno. Dall’età di 19 anni fino a quasi 80 anni, non ho mai più alzato le mani su nessuno. È chiaro però che avrei potuto diventare anche io come Nonnino».
Nonnino è quasi un alter ego? «Tutto riconduce all’infanzia. Ricordo la rabbia che provai da bambino scoprendo Mateo Falcone, breve racconto di Mérimée, nel quale il piccolo protagonista viene ucciso da suo padre per salvare l’onore. A mandarmi su tutte le furie era il fatto che il libro mi era stato suggerito come un modello di moralità. È uno dei tanti equivoci pedagogici che vengono dal sedicente mondo adulto. Ancora oggi mi batto contro questo tipo di cose. E quel furore infantile sopravvive latente in me come una vecchia febbre».
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